Pubblichiamo per gentile concessione dell'editore un capitolo del libro di Ernesto Ferrero Napoleone in venti parole, Einaudi 2021

N. lo aveva spiegato a Metternich nel giugno 1813: “I vostri sovrani, nati sul trono, possono lasciarsi battere venti volte in battaglia e rientrare sempre nelle loro capitali. Io non posso, perché sono un soldato parvenu. Il mio dominio cesserà il giorno in cui avrò cessato d’esser forte, e quindi d’essere temuto”. Ma il dominio non può sostenersi soltanto sulla forza: ha bisogno di consenso, di adesione, di condivisione. Il capo carismatico è un trascinatore, un motivatore che trova nella parola lo strumento principe. Davanti a uno dei quadri potentemente teatrali che ha commissionato a David, riflette: “Non è di verità, che gli uomini hanno bisogno, ma di sogni. Essi conoscono bene da soli il prezzo della fatica e del disinganno. Hanno bisogno di immagini potenti che li infiammino, che li muovano a gesta grandiose, che facciano dimenticare loro la mediocrità di esistenze di formiche senza nome”. 

Se un leader è in primo luogo un venditore di sogni realizzabili, deve dedicare una cura speciale alla comunicazione. Come recita uno dei suoi tanti aforismi, “è stupefacente il potere delle parole sugli uomini”. N. impara presto come usare al meglio questo potere. La prima e piú importante caratteristica della sua comunicazione è la capacità di adeguare il proprio linguaggio a quello degli interlocutori che ha davanti, dargli la giusta tonalità. La comunicazione dev’essere condensata, stringata, essenziale: “La vera arte dello scrivere consiste nel sopprimere tutto quello che è inutile”. Come accade in battaglia, deve porsi un obiettivo prioritario (lo sfondamento centrale) e battere su quello. L’attenzione degli adulti non è piú durevole di quella dei bambini, dunque occorre colpirli con immagini semplici, potenti, dirette, pienamente accessibili. Lo stesso Metternich riconosce a N. la gran capacità di elaborare il proprio pensiero, inseguendo la parola giusta, fino a renderlo chiaro e convincente. Scrive Chateaubriand: “La sua educazione non era raffinata né approfondita. Mezzo straniero, ignorava le regole basilari della nostra”. 

Ne sono un esempio significativo le celebri parole che il ventisettenne generale finito a capo dell’armata sgangherata in partenza per l’Italia nel marzo 1796 rivolge ai suoi soldati: “Voi non avete scarpe, né abiti, né camicia. Avete poco pane e i nostri magazzini sono vuoti. Quelli del nemico rigurgitano di tutto. A voi conquistarli. Voi lo volete, voi lo potete, partiamo”. Non nasconde una realtà fatta di impreparazione e di carenze gravi: la enfatizza, la rovescia per farne un’occasione di rivincita. Dice l’unica cosa che i soldati possono intendere, li trasforma da gregari anonimi e trascurati nei protagonisti della rivincita che meritano, negli artefici della propria fortuna. Questo comporta l’introduzione di criteri meritocratici in grado di individuare e premiare il valore, creando tra i soldati una competizione virtuosa. La straordinaria affezione che per vent’anni l’Armée nutrirà per il proprio condottiero nasce da un forte rapporto fiduciario. Oltre a portare nel proprio zaino il bastone del futuro maresciallo, ogni soldato sa che un suo gesto valoroso sarà immediatamente conosciuto dal capo, e fulmineamente ricompensato. 

N. dedicherà sempre alla macchina del riconoscimento un’attenzione maniacale. Uno dei grandi punti di forza dell’operatività napoleonica è la perfetta conoscenza psicologica del materiale umano che deve gestire. La capacità di parlare ai propri sottoposti deve essere la prima dote di un capo. Teorizza: “Con le sue parole dissipa i timori, infiamma il coraggio, accresce l’accanimento, smaschera le trappole, promette ricompense, addita i pericoli e il modo di evitarli, rimprovera, prega, minaccia, semina la speranza, la lode, il biasimo, e infine gioca con tutto quanto possa accendere e spegnere le passioni degli uomini”. Ha scritto Balzac che la sua voce era quella del profeta, perché nessuno dei suoi proclami era stato smentito da una battaglia.

Dopo le vittorie N. tonifica l’autostima dei suoi uomini lanciando messaggi in cui enumera il materiale catturato e le gravi perdite nemiche. Prima della Moskova ricorda ai fedelissimi grognards le grandi imprese di Austerlitz, Friedland, Vitebsk, Smolensk. Per far sentire ai suoi che fanno parte della stessa famiglia, fa esporre davanti alla propria tenda un ritratto del piccolo Re di Roma. Provoca scientemente l’emulazione, mettendo in competizione corpi diversi. Ai granatieri dice che sono dei capponi buoni soltanto per l’ingrasso, per battersi non ci sono che i voltigeurs, le truppe leggere d’assalto. E ai voltigeurs: ce ne vogliono cinquanta di voi per fare un granatiere.

La pratica del potere è dunque in primo luogo un esercizio di narrazione, oggi diremmo uno storytelling. Una rappresentazione in cui la qualità del copione e quella degli attori sono ugualmente importanti. Con l’arrivo di N., fa la sua comparsa sul palcoscenico della Storia quella che oggi chiamiamo audience. A Sant’Elena spiega a Las Cases: “L’opinione pubblica è una potenza invisibile, misteriosa, alla quale nulla resiste. Nulla è piú mobile, piú vago e piú forte; e benché sia capricciosa, resta tuttavia vera, ragionevole, giusta, molto piú spesso di quanto si pensi”. 

Alla conquista dell’audience N. utilizza ogni possibile strumento. È il fondatore di una semiologia applicata al potere. Sa che tutto è segno, anche il modo di presentarsi, abbigliarsi, gestirsi nelle occasioni private e in quelle pubbliche. Se deve trattare con lo zar Alessandro, per impressionarlo fa allestire sontuosi spettacoli teatrali; se deve incontrare Goethe, si prepara accuratamente, tanto che il grand’uomo ne rimane impressionato. Tutto concorre al formarsi di un’opinione, anche la scelta di preferire la costruzione di monumenti pubblici duraturi al fasto effimero di costose feste popolari. N. non si ferma ai salotti della borghesia: conduce personalmente indagini di mercato per sondare gli umori popolari. Di buon mattino scende in incognito in mezzo al popolo, frequenta mercati e sobborghi, scambia battute, raccoglie opinioni (...).

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