In questo libro dal titolo “Lavorare è una parola. Un alfabeto corale a cinquant’anni dallo Statuto dei lavoratori” (Donzelli, pp. 308, € 15), l’idea dei due curatori, Roberta Lisi e Altero Frigerio, appare allo stesso tempo chiara ed efficace, contenere nello stesso volume non soltanto i termini e le definizioni che hanno contraddistinto mezzo secolo di riflessioni e di battaglie attorno al tema dei diritti dei lavoratori, ma anche le firme di coloro che di tutto questo si sono occupati in questi anni,

Ne consegue un resoconto che mette insieme storie tra loro diverse, unite dal desiderio di approfondire un argomento tornato, suo malgrado, alla ribalta della discussione politica e sociale dato che, come ricorda Enrico Letta in capo alla sua prefazione, “la crisi che stiamo vivendo avrà un impatto enorme sul mondo del lavoro”; e perché il prezzo che stiamo pagando e pagheremo, aggiungono i curatori nell’introduzione, non sarà causato solo dal devastante passaggio del virus nelle vite di tutti noi, ma dal frutto di nostri errori, dall’aver perduto con il tempo il senso del lavoro in sé, mentre la patologia del turbocapitalismo avanzava pressoché indisturbata.

Da qui la ricchezza e la mescolanza dei contenuti proposti, a partire dalla prima delle lettere, dove trova spazio la “A” di Algoritmo, che la penna del giornalista Michele Mezza ci racconta partendo da molto lontano, per la precisione dalla formula incisa nel Sarcofago di Petamon del VI secolo a. C., per arrivare alle sequenze numeriche che in questi giorni ci permettono di contrastare la pandemia, passando attraverso Leibniz e i Gründisse di Karl Marx, considerati un “naturale algoritmo filosofico”, o l’ormai citatissimo saggio “Il capitalismo della sorveglianza” della studiosa contemporanea Shoshana Zuboff.

La lettera successiva non interpella un concetto bensì la “B” di Bergoglio, il papa che con la sua enciclica “Laudato sì” ha spiazzato il mondo intero e che al mondo del lavoro, alle diseguaglianze che coinvolgono ogni giorno milioni di lavoratori, dedica un’attenzione sorprendente quanto insperata, come ben evidenzia nel suo scritto l’Arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi.

La Carta dei diritti universali del lavoro è il capitolo successivo, nel quale Susanna Camusso ripercorre i passaggi che hanno portato la Cgil a coltivare con i fatti l’aspirazione a “riordinare e rilanciare il diritto del lavoro, di rafforzare la contrattazione e di individuare i diritti necessari per il futuro”, ponendosi nel nuovo secolo quale ideale prosecuzione dello Statuto del 1970, richiamandosi ai medesimi principi costituzionali per affrontare le diseguaglianze del nostro presente, legandosi in contrasto, qualche lettera più avanti, alla “J” di Jobs Act, che già nel sottotitolo Claudio Treves, autore dell’approfondimento, definisce una perversa via di mezzo tra la grande illusione e il grande inganno.

Pochi ed eloquenti esempi, che indicano in maniera immediata la varietà dei protagonisti e la vastità dei temi, pur rimanendo, quello del lavoro, il cardine attorno cui tutto muove grazie agli interventi, tra gli altri, di Raffaela Milano (Save The Children) sul lavoro minorile, Paolo Borrometi (Articolo 21) sulla mafia, Giulio Marcon (Sbilanciamoci) per decifrare un nuovo modello di sviluppo, Marco Omizzolo (In Migrazione) per ragionare di Quarto Stato, Carlo Smuraglia (presidente emerito Anpi) per ricordare il valore del lavoro. Per citarne solo alcuni.

E se l’apertura non delude la curiosità che accompagna le prime pagine di ogni libro, Altero Frigerio e Roberta Lisi riservano una conclusione di certo non scontata, soprattutto se la scelta è quella di procedere con cadenza alfabetica, dovendo dunque trovare soluzioni all’altezza per “W” e “Z”.

Nel primo caso vengono chiamate in causa le donne, declinate in inglese al femminile plurale, grazie all’analisi della ricercatrice del Censis Anna Italia, mentre la conclusione viene affidata ai pensieri di Emanuele Macaluso, raccolti con la consueta perizia da Giorgio Frasca Polara, attorno al concetto di Zenit, inteso come massima espressione grazie a una testimonianza unica, quella di un uomo che nel 1947 viene eletto segretario regionale della Cgil Sicilia su proposta di Giuseppe Di Vittorio, e che ancora oggi crede fermamente che il lavoro sia un “faro sicuro per chi crede nella democrazia e nella lotta per il cambiamento”.