Il nono rapporto Ispra sul consumo di suolo fotografa un quadro deprimente dei processi di trasformazione del territorio italiano. La perdita di suolo, risorsa fondamentale, difficilmente rinnovabile e limitata, continua a crescere. Nel 2021 il consumo di suolo ha superato la soglia dei due metri quadrati al secondo, causando la perdita irreversibile di aree naturali e agricole. Circa 70 km quadrati di queste aree, il valore più alto degli ultimi dieci anni, sono state occupate da nuovi edifici, grandi opere, piccole e medie infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio.

Il fenomeno riguarda in particolare le aree di pianura, le zone costiere e le città metropolitane, nello specifico dove i valori immobiliari sono più elevati. Una crescita disaccoppiata dall’andamento demografico, che invece è in flessione. La copertura artificiale del suolo in Italia è arrivata al 7,13% rispetto a una media europea del 4,2%. Un consumo e un ritmo insostenibili causati da irresponsabilità politica a tutti i livelli, a partire dalla mancata approvazione di una legge per bloccare il consumo di suolo.

Gli impatti di questo consumo irrefrenabile si misurano nelle città a più alta densità, dove gli spazi residui sono molto limitati, con incrementi delle temperature superiori rispetto alle aree rurali fino a +3°, che danno vita al fenomeno delle isole di calore e all’incremento della mortalità correlata nelle fasce più fragili della popolazione. Il consumo di suolo, accompagnato dal suo degrado, causa la perdita di servizi ecosistemici: produzione agricola e di legname, stoccaggio di carbonio, contrasto all’erosione e alla desertificazione, regolazione del microclima, rimozione di particolato e ozono, disponibilità e purificazione dell’acqua, regolazione del ciclo idrico, qualità degli habitat e degli ecosistemi.

Siamo molto lontani dal raggiungere l’obiettivo della Land degradation neutrality previsto dall’Agenda Onu 2030, che invita entro quell'anno a combattere la desertificazione, ripristinare i terreni degradati e il suolo, compresi i terreni colpiti da desertificazione, siccità e inondazioni, e sforzarsi di realizzare un mondo senza degrado del terreno. In Italia nel 2019 il territorio degradato è stimato al 17%, le bonifiche e il risanamento ambientale delle aree contaminato sono ancora drammaticamente ferme al palo con gravi conseguenze sull’ambiente e sul sistema produttivo ma soprattutto sulla salute e sulla mortalità di chi vive e lavora in quelle aree. I “costi nascosti” del consumo di suolo stimati dall’Ispra sono di otto miliardi di euro all’anno, che potrebbero arrivare a un costo complessivo tra il 2012 e il 2030, compreso fra i 78,4 e i 96,5 miliardi di euro all’anno.

Dal rapporto emergono però anche dati interessanti in una prospettiva di sviluppo sostenibile, valorizzazione del territorio e del paesaggio, politiche per rispondere all’emergenza abitativa, rigenerazione urbana, riuso di aree contaminate e dismesse. Oltre 310 chilometri quadrati di edifici risultano non utilizzati e degradati, una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli. Altro dato interessante riguarda il consumo di suolo relativo all’installazione di impianti fotovoltaici a terra, che attualmente occupano 17.500 ettari di terreno, in particolare in Puglia, Emilia Romagna e Lazio. La crescita auspicabile e necessaria di produzione di energia da fonti rinnovabili, in particolare del fotovoltaico, potrebbe costituire un ulteriore aggravamento per il consumo di suolo nel nostro Paese. Ispra riporta una stima di fabbisogno di 50.000 ettari di terreno per i nuovi impianti ma indica anche la possibilità di evitare ulteriore consumo di suolo, utilizzando la superficie potenzialmente disponibile per l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti che le stime comprendono fra 75.000 e 99.000 ettari, sufficiente a ospitare nuovi impianti fotovoltaici per una potenza complessiva fra 70 e 92 GW.

È un rapporto su cui riflettere, che conferma le preoccupazioni per un sistema che non tiene in alcun modo conto dei limiti delle risorse, né dell’immenso valore del patrimonio naturale. Un sistema che consuma suolo, in particolare le superfici coltivabili sempre più scarse e preziose per effetto del cambiamento climatico, non agisce sull’adattamento, per il ripristino delle aree contaminate, degradate e dismesse, non tutela il territorio, gli habitat naturali, la biodiversità e gli ecosistemi. Lo stesso sistema che ha causato e continua a causare emergenza climatica, disuguaglianze territoriali, etniche, di genere e generazionali, povertà, mancato rispetto dei diritti umani e del lavoro.

La Cgil da anni chiede una legge che fermi il consumo di suolo: una misura che si inserisce nella più generale rivendicazione di un radicale cambiamento del modello di sviluppo che metta al centro il benessere delle persone e del pianeta, la piena e buona occupazione, la giustizia climatica e sociale, superando la logica della ricerca di una crescita infinita finalizzata solo alla massimizzazione dei profitti. Serve un ruolo forte dello Stato in economia per garantire sostenibilità sociale, economica e ambientale ma serve anche un’iniziativa economica privata che, come prevede l’articolo 41 della Costituzione recentemente modificato e richiamato anche dal presidente di Ispra nella sua relazione di presentazione del rapporto, non può esercitarsi in danno dell’ambiente e della salute.

Simona Fabiani è responsabile delle Politiche per il clima, il territorio e l'ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil