La Fisac Cgil lancia l’allarme sulla “bassa crescita”, sui “salari reali in contrazione”, e su “inflazione perdurante e lavoro povero”. Sono per il sindacato bancari della Cgil i rischi più evidenti da affrontare nel confronto sindacale e politico. Ed è sul fronte dei salari, nello specifico nel rinnovo dei contratti, che è possibile e necessario generare quegli aumenti in grado di compensare la perdita del potere d’acquisto, redistribuendo la produttività settoriale, come dimostra il recente contratto del settore bancario Abi. È quanto si legge nelle considerazioni contenute nella nota congiunturale dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac.

Agire su sviluppo e salari

“Bisogna agire sullo sviluppo e sulla crescita dei salari - osserva la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito -, così come è necessario intervenire per scardinare la resistenza alla diminuzione dei prezzi. Va utilizzata la leva fiscale come elemento di sviluppo e redistribuzione, mettendo al centro la lotta all’evasione, elemento fondamentale per la crescita e la riduzione delle disuguaglianze”.

Se queste sono le ricette, aggiunge Esposito, “il sindacato, come dimostra il nostro recente contratto del credito, è pronto a fare la sua parte, ma il governo rimane inerte alle sfide che abbiamo di fronte, a conferma delle ragioni alla base della nostra mobilitazione”. La nota dell’Ufficio studi e ricerche della Fisac Cgil ricostruisce, quindi, il quadro macroeconomico, globale ed europeo, per poi entrare nel dettaglio su temi quali inflazione, crescita, tassi e credito, e dai quali emerge una pressione costante sulle lavoratrici e i lavoratori.

Il quadro globale

La crescita economica a livello globale resta debole: “Nel 2023 l’incremento del Pil non dovrebbe superare il 3%, con un ulteriore lieve arretramento nel 2024 a quota 2,8%”, rileva il report della Fisac, che sul fronte dell’inflazione osserva: “Quella globale diminuirà costantemente, spinta dal calo dei prezzi internazionali delle materie prime, ma quella di fondo diminuirà più gradualmente e, nelle economie avanzate, non tornerà sotto la soglia psicologica del 2% fino al 2025/2026.

Nella zona euro la crescita reale stimata, ricorda la Fisac Cgil, “è pari allo 0,7% per il 2023 e all’1% circa per il 2024. Per quanto riguarda l’inflazione armonizzata, questa dovrebbe attestarsi nel 2023 intorno al 5,6%, il ritorno al di sotto della soglia del 2% annuo è previsto soltanto per il 2026. Anche Eurostat conferma che l’economia in Europa è in ulteriore rallentamento con ben 9 Paesi su 20 dell’eurozona, dati terzo trimestre dell’anno, che registrano una riduzione del proprio Pil mentre l’Italia è ferma a 0”.

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Inflazione e salari

L’inflazione nel nostro Paese, si legge nel report, “si è ridotta sensibilmente in particolare grazie alla dinamica dei prezzi energetici mentre quella ‘core’, ossia l’indice dei prezzi al consumo al netto di quelli più soggetti a volatilità (come appunto beni energetici e alimentari) e quindi considerata più affidabile dell’inflazione generale, ha registrato una flessione più contenuta (+4,2% annuo)”.

Sul fronte dei salari, spiega la Fisac, “l’incremento è ancora abbondantemente lontano dal recupero del pieno potere di acquisto”. Secondo l’Istat la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali continua a mostrare un progressivo rafforzamento: a giugno 2023 la crescita su base annua è stata del +3,1% (la più marcata da novembre 2009). “Nonostante il recente rallentamento dell’inflazione, nei primi sei mesi dell’anno la distanza tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni supera ancora i sei punti percentuali”, commenta lo studio.

Tassi bancari, depositi e prestiti

La trasmissione dei tassi di riferimento della Banca centrale europea ai tassi praticati dal sistema bancario nazionale, prosegue il report della Fisac, “continua la sua dinamica a due velocità: la remunerazione dei depositi a vista cresce in misura inferiore rispetto all’incremento dei tassi praticati sui prestiti. Secondo i dati forniti Abi a ottobre di quest’anno il tasso sui nuovi prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni era pari al 4,37% (2,05% a giugno 2022), con un incremento di più del doppio anno su anno. Il tasso medio sui nuovi prestiti alle società non finanziarie è salito al 5,45% (1,44% a giugno 2022) circa tre volte il costo dei prestiti dell’analogo periodo del 2022”.

Queste dinamiche, aggiunge il rapporto, “unite al rallentamento dell’economia e al perdurare di un livello elevato di inflazione, bassi salari e calo degli investimenti delle imprese, hanno determinato una brusca frenata delle erogazioni di finanziamenti per la casa ma anche di prestiti alle società che hanno preferito utilizzare liquidità esistente per finanziare il loro circolante. Dai dati rilevati da Crif nei primi nove mesi del 2023 la domanda di mutui delle famiglie si è ridotta di quasi il 20% mentre a giugno di quest’anno i nuovi mutui erogati segnavano ben il -25% (-17,5% le surroghe)”.

Qualità del credito e sofferenze

Il maggior costo del finanziamento dell’economia, generato dagli aumenti dei tassi insieme al rallentamento della crescita, si osserva ancora nel report, “lascia spazio a un aumento delle difficoltà a rimborsare da parte di famiglie ed imprese: alcuni segnali preoccupanti, rappresentati da un aumento dello stock di crediti in sofferenza, che si attesta intorno ai 17,8 miliardi a settembre 2023, permangono, pur essendo ancora lontani da quanto si registrava nel settembre 2018 (39,9 miliardi); essi sono tuttavia superiori al dato di settembre 2022 (16,1 miliardi)”.

Considerazioni conclusive

Il contestuale aumento dei tassi e la perdurante inflazione genera una pressione costante su lavoratrici e lavoratori, in particolare dipendenti e pensionati. L’Ocse ricorda che l’Italia è il paese dove si è registrato il più forte calo dei salari reali rispetto all’inizio della pandemia (-7% alla fine del 2022) e la discesa è proseguita nel primo trimestre del 2023 (-7,5% su base annua). Da questo resoconto, commenta Susy Esposito, “emerge che rinnovare i contratti, recuperando la perdita del potere di acquisto e redistribuendo la produttività, è possibile ed è necessario, come abbiamo dimostrato col rinnovo relativo al settore bancario Abi. Ma pesano le scelte sbagliate di questo governo, a partire dalla manovra di bilancio, che continueremo a contrastare, dando continuità alla nostra mobilitazione per un’altra politica economica, sociale e contrattuale”, conclude Esposito.