Solo il lavoro congiunto del pensiero liberale, del pensiero socialista e di quello dei cattolici democratici può fondare una moderna prospettiva liberalsocialista capace di far rinascere il paese. È questo uno degli assunti de “La prospettiva liberalsocialista. Uno sguardo sul futuro della sinistra”, l’ultimo volume di Giacinto Militello, figura storica della sinistra politica e sindacale in Italia, pubblicato per Ediesse (p. 203, 13 euro). Un libro interessante, un pamphlet appassionato  – e però ricco di informazione e documentazione – che affronta nodi importanti del secondo 900 italiano dal punto di vista di un personaggio che ha attraversato la storia della sinistra italiana dell’ultimo pezzo del XX secolo: Pci, Psi, Psiup, Cgil. “Il pensiero liberalsocialista – ha spiegato l’autore nel corso di un intervista andata in onda su RadioArticolo1 – distingue nettamente la tradizione socialista da quella comunista, la tradizione liberale da quella liberista: è cioè il tentativo di mettere assieme libertà e giustizia sociale, libertà dell'individuo e uguaglianza. Si tratta di un'impresa enorme. Bobbio, a questo proposito, suggerisce di non tentare una sintesi filosofica rispetto a queste due grandi tradizioni, quella liberale e quella socialista, ma piuttosto un incontro di interessi, una soluzione politica per mettere insieme queste due grandi tradizioni democratiche del pensiero politico italiano”.

Nel libro viene spesso evocata la differenza tra liberalismo e liberismo, mentre fa specie che in Italia per l’ascesa di un liberismo becero sia stata evocata addirittura la “rivoluzione liberale” di Gobetti.

Militello Mi fa piacere che si citi Gobetti. Perché la rivoluzione liberale di Gobetti era affidata soprattutto alla classe operaia, vista e proposta come classe dirigente del paese. Mentre la rivoluzione liberale di cui ha parlato Berlusconi era soltanto un modo per fare i propri interessi e non certo per portare i deboli e gli operai alla guida del paese. Sono due concetti completamente diversi.

Quali sono, in sintesi, le asticelle che separano liberalismo da liberismo?

Militello Il liberismo tende a ignorare o addirittura, come abbiamo visto, a colpire i diritti dei più deboli e a consacrare un'idea di società basata sul denaro, sul profitto, sulle diseguaglianze. Il pensiero liberale invece è tutta un'altra cosa: comprende bene che per inverare il concetto di libertà si ha bisogno di coniugarlo con quello di giustizia sociale e di eguaglianza di tutti i cittadini e di progresso della democrazia.

Quale ruolo ha nella costruzione di questa prospettiva progressista il sindacato?

Militello Nel sindacato ho passato 30 anni della mia vita: lo considero la mia famiglia. Per me è un bene prezioso e una grande conquista democratica dei lavoratori che va assolutamente difesa, oggi e domani. Tuttavia attualmente il sindacato corre il pericolo di subire pesanti sconfitte. Pur essendo ancora capace di mobilitare masse, di organizzare grandi manifestazioni e di incontrare il popolo, rischia di non avvertire che nella società si stanno sviluppando due processi opposti: da una parte c'è effittavemente la deindustrializzazione e il declino dell'assetto produttivo e sociale del paese, ma dall'altra parte c'è anche il cambiamento, l'innovazione tecnologica, l'automazione, e il lavoro che diventa sempre più consapevole e capace di affrontare problemi complessi. Se il sindacato tenta di fermare il declino senza però capire che deve guidare e promuovere il cambiamento diventa conservatore e si indebolisce. Il risultato è che questo cambiamento verrà guidato dai liberisti. Per queste ragioni, la fase attuale per il sindacato è sicuramente molto difficile.

A proposito del lavoro che cambia e della conoscenza, in Cgil sei stato tra i primi a occuparti di professioni…

Militello
 Sì, e anche questo è un tema importante e ricco di prospettive: non si può pensare che l’unica dimensione sia quella, pure importantissima, del conflitto in fabbrica. La società è molto più complessa. Ci sono, appunto, i lavoratori autonomi, che hanno una propria cultura, una professione, una volontà di affermarsi nella società con il loro sapere e le loro conoscenze. Il futuro del sindacato e quello del lavoro sono sempre più legati al livello di conoscenza che ogni singolo lavoratore immette nel processo produttivo. Il futuro del lavoro sta nel suo matrimonio con la conoscenza, con l'esperienza e con la formazione. Più fa questo e più il lavoratore diventa autonomo, anche se magari è inquadrato come dipendente. L’innovazione tecnologica non è un'invenzione dei padroni ma un bisogno e una tappa della della civiltà verso la modernità. Certo l'innovazione tecnologica purtroppo crea anche il digital divide, gli esclusi, tanto lavoro puramente esecutivo, poco dignitoso e pagato sempre meno. Ecco, allora, che il grande compito del sindacato è difendere i più deboli, i più poveri e quelli che hanno meno conoscenza ma, contemporaneamente, trovare nuove alleanze sociali e nuovi strumenti organizzativi per stare insieme ai lavoratori della conoscenza. Questo è il futuro, e se non ci si prepara ad affrontarlo si resta indietro. Lo scenario attuale tiene insieme povertà e innovazione e a tutti e due questi poli dobbiamo trovare una risposta adeguata, altrimenti si finisce per restare inesorabilmente indietro.

Quindi la sinistra è forte se è in grado di rappresentare insieme i deboli e i poveri…

Militello 
Proprio così. Dobbiamo rappresentare e stare con i deboli, ma per vincere la battaglia e per guidare il cambiamento abbiamo bisogno anche di altre forze sociali. Dobbiamo interrompere questo andazzo deprimente che negli ultimi tempi ha offuscato la luce della sinistra, diventata ceto politico senza più riferimenti sociali. Se non lo faremo saranno tecnocrazia e populismi di destra a guidare i processi in atto..