Se la parola crisi indica lo stato più grave di una malattia dalla quale si può guarire, allora questa parola non va più bene. Dopo sei anni, tutti gli indicatori economici e sociali rivelano un quadro drammatico e univoco di costante peggioramento. Insomma, anziché crisi, sarebbe il caso di definirla catastrofe globale. In Europa le persone che hanno perduto il lavoro sono cresciute di 10 milioni, portando a 27 milioni il totale dei disoccupati. Per il quinto anno consecutivo l’occupazione è in calo nel continente. I nuovi poveri sono cresciuti di 13 milioni. Nell’Europa a 28 paesi, nel 2012, le persone già povere e quelle a rischio di esclusione erano ben 124 milioni, poco meno di una ogni quattro, con una crescita di 2 milioni e mezzo rispetto all’anno precedente.

Di tutto questo e di molto altro ancora parla il Rapporto sui diritti globali (Ediesse), giunto alla dodicesima edizione e presentato oggi a Roma nella sede nazionale della Cgil. Macro-capitoli tematici documentano la situazione e delineano possibili prospettive future in questo imponente dossier a cura dell'Associazione Società Informazione Onlus, promosso da Cgil con la partecipazione di ActionAid, Antigone, Arci, Cnca, Fondazione Basso-Sezione Internazionale, Forum Ambientalista, Gruppo Abele, Legambiente. Come da tradizione, l’analisi e la ricerca sono corredate da cronologie dei fatti, schede tematiche, quadri statistici, un glossario, una bibliografia e una sitografia. Uno strumento fondamentale d’informazione e formazione per quanti operano nella scuola, nei media e nell’informazione, nella politica, nelle amministrazioni pubbliche, nel mondo del lavoro, nelle professioni sociali, nelle associazioni.

Nel suo piccolo, l’Italia contribuisce significativamente alla mappa della privazione. Il numero di quanti vivono in condizioni di povertà assoluta è raddoppiato tra il 2007 e il 2012, arrivando all’8% della popolazione. Il tasso di occupazione nel 2013 è tornato ai livelli del 2002, peggio di noi fanno solo greci, croati e spagnoli. Tra il 2012 e il 2013 sono stati persi 424mila posti di lavoro. Dall’inizio della grande recessione oltre 980mila persone hanno perso il loro impiego. Il tasso di disoccupazione tra i giovani dai 15 ai 24 anni è arrivato al 42,4%. Muoiono le piccole imprese: dal 2008 ne sono scomparse 134mila. E muoiono le persone: per quanto sia difficile stabilire nessi causali univoci e certi, alcuni studi indicano in 149 le persone che si sarebbero tolte la vita per motivazioni economiche nel 2013, quasi il doppio rispetto agli 89 casi dell’anno precedente. Numeri moltiplicati e non meno tragici sul panorama mondiale. Nel 2013 i disoccupati erano 202 milioni. Lievita anche il fenomeno dei lavoratori poveri: sono 200 milioni e sopravvivono in media con meno di due dollari al giorno.

"Questo stato di catastrofe umanitaria, non solo economica - si legge nel dossier - non è una realtà inevitabile, bensì il risultato di scelte politiche precise. Nessun serio investimento è stato fatto per promuovere l’occupazione e sostenere il lavoro. La rotta non è stata invertita e nemmeno corretta. Anzi. Le politiche della Banca Centrale, del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione Europea, la famigerata Troika hanno portato allo stremo i lavoratori e i ceti medi nel paesi destinatari dei programmi di assistenza finanziaria, Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Romania".

Le alternative sono da tempo sul tavolo. Certo, non bastano le piattaforme. Per trasformazioni di tale radicalità - è una delle idee lanciate dal Rapporto - occorrono la forza politica, il consenso e la cooperazione sociale. Ma, per determinarne le precondizioni, prima di tutto bisogna definire una nuova cornice culturale e valoriale. Un’altra Europa e un’altra globalizzazione, insomma, quella dei cittadini, dei diritti e della solidarietà politica e sociale, ha bisogno di essere pensata e di nascere presto dalle macerie di quella delle monete e dei mercati. Una riconversione ecologica dell’economia deve soppiantare il castello di carte della finanza speculativa, che da tempo detta le agende ai governi e che vorrebbe ora addirittura forzare e svuotare le Costituzioni antifasciste europee. Un deciso investimento sul lavoro stabile e di qualità e su un nuovo welfare deve spodestare la mortifera politica dell’austerità (solo in Grecia sarebbero 2.200 le morti direttamente riconducibili alle politiche del rigore) che sta strangolando economie e stato sociale e a cui l’Unione Europea e i singoli governi si sono inchinati.

Come afferma nel Rapporto Luciano Gallino, "i Parlamenti hanno sbattuto i tacchi e hanno votato alla cieca perché ce lo chiedeva l’Europa. Non esistono alternative, ci è stato detto. Questa espressione è un corollario del colpo di Stato in atto". Le alternative invece sono possibili, oltre che necessarie. Ma non possono che sortire dal basso, dalle forze vive del lavoro, della società, dei popoli. Per contrastare quel “colpo di Stato”, difendendo la democrazia, ricucendo la profonda ferita delle diseguaglianze, ristabilendo equità e giustizia sociale. Globalizzando i diritti.

"Il settimo anno della crisi economica che ha investito l’economia mondiale - osserva nella prefazione il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso - ci pone di fronte a un fallimento ormai evidente a tutti: la profonda recessione determinata dalle politiche economiche di stampo liberista, diventate vera e propria ideologia, che si sono dimostrate incapaci di prospettare una qualsivoglia uscita dalle loro stesse contraddizioni. La luce in fondo al tunnel, che in tanti cercano di vedere dietro percentuali di crescita del Prodotto interno lordo dello zero virgola, è, per il momento, un semplice abbaglio. Purtroppo la luce della ripresa è ancora troppo lontana perché sia visibile".