Alessandro Leogrande moriva nella notte tra il 25 e il 26 novembre dello scorso anno, lasciando un vuoto che ogni giorno di più appare incolmabile. Il suo viaggio in questo mondo, forzatamente breve (era nato a Taranto il 20 maggio del 1977), ma non per questo meno intenso e impegnativo, oltre che impegnato, lo portò verso la fine degli anni novanta a iniziare una collaborazione anche per Rassegna Sindacale, tra le pagine di quel mensile culturale che, con il sostegno della storica rivista letteraria Nuovi Argomenti, in quel periodo concentrava la sua attenzione verso scrittori emergenti che avessero mostrato particolare attenzione ai temi del lavoro. I resoconti di Alessandro già affondavano la penna nelle terre pugliesi dove i “caporali” regnavano allora incontrastati: da quegli stessi articoli, rielaborati e ulteriormente approfonditi, il cuore narrativo del libro forse più conosciuto, “Uomini e caporali”, a cui la legge 199/2016 contro il reato di caporalato deve molto. Moltissimo.

Quella collaborazione non trascorse invano, anzi fu lo stesso Alessandro a voler restare vicino all’azione e all’informazione sindacale, perché secondo il suo pensiero la tutela dei diritti dei lavoratori, la rappresentanza degli stessi, l’inchiesta volta a denunciare le diseguaglianze e i soprusi nei luoghi di lavoro, dovevano essere un riferimento costante per chiunque si occupasse di cultura, o di sistemi di divulgazione in genere. Poi, negli anni, Alessandro Leogrande è stato anche altro. Le sue pubblicazioni sono lì a ricordarlo, da “La frontiera”, tra i libri più citati in questi mesi, a “L’altro Risorgimento”, uno degli ultimi scritti dedicato alla figura di Carlo Pisacane, per la “Piccola bibilioteca morale” delle Edizioni dell’Asino, a cui era legata la sua attività di vicedirettore de Lo Straniero.  Per chi lo ha conosciuto, per chi ha avuto la fortuna di averlo come amico, resta la sensazione di aver perduto una persona la cui leggerezza si mescolava naturalmente alla competenza, unite a una robusta dose di coraggio intellettuale, merce ormai piuttosto rara.

A cominciare da noi, generazione orfana di una figura che ci ha insegnato con il quotidiano esempio ad allontanare atteggiamenti in alcune circostanze superficiali, se non presuntuosi, in luogo di un’applicazione seria, costante, costruita sullo studio rigoroso e la presenza sul campo. Di conseguenza, l’unico modo per rendergli omaggio, l’unico strumento a disposizione per evitare la tentazione dell’insulsa retorica, è proseguire il percorso da lui indicato in maniera netta e inequivocabile, quanto per ciascuno possibile. Compito a dir poco arduo, ma doveroso. La consolazione, meno che magra, è avergli risparmiato l’osservazione dei tempi oscuri e oscurantisti di questo ultimo anno. Possiamo immaginare quanto ne avrebbe dedotto la pacata determinazione mai nascosta dall’immancabile sorriso.

Dal nostro archivio:
Signor caporale, oggi qui non si lavora, A.Leogrande