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In Europa (Ue28) i morti per cancro attribuibile al lavoro sono stimati attorno ai 100mila casi ogni anno, venti volte quelli dovuti agli incidenti sul lavoro. Ciononostante, la legislazione europea è molto tiepida in materia: stabilisce dei valori limite di esposizione (Vlep) che non devono essere superati nei luoghi di lavoro per solo tre sostanze cancerogene, a fronte delle oltre 100 sostanze o processi lavorativi che sono riconosciuti come sicuramente cancerogeni a livello internazionale.
Ha perciò colpito che la politica ultradecennale di rinvii in materia da parte della Commissione europea si sia finalmente interrotta con la presentazione di una proposta di revisione della Direttiva sulla prevenzione dei tumori professionali. Il testo propone di adottare, in controtendenza rispetto a quanto previsto dalla vecchia Direttiva (in vigore), valori limite d’esposizione lavorativa vincolanti per 13 sostanze. L’Etui, l’istituto di ricerca della Ces, la Confederazione europea dei sindacati, si è felicitato che la Commissione europea si sia finalmente decisa a rafforzare la legislazione contro i cancerogeni nei luoghi di lavoro, ma ritiene che questa proposta non guardi lontano.
“Il punto positivo è che il processo legislativo si è aperto e che sarà possibile emendare questa posizione iniziale – sostiene Laurent Vogel, ricercatore dell’Etui –. Il suo contenuto, infatti, è minimo. Nessun articolo della Direttiva è stato migliorato. Sostanzialmente, è stato modificato solo l’allegato 3 sui Vlep, con riguardo tuttavia a soli 13 cancerogeni, una risposta troppo modesta in rapporto alle richieste della presidenza olandese”. Il governo dei Paesi Bassi, che è alla presidenza dell’Unione europea in questo primo semestre del 2016, reclama infatti l’introduzione di 50 Vlep, mentre, da parte sua, la Ces ha definito una lista di 71 sostanze o processi cancerogeni per i quali ritiene necessario stabilire dei valori limite. La Commissione ha annunciato che 12 altri Vlep saranno oggetto di una proposta legislativa prima della fine di quest’anno, ma non si è impegnata per iniziative ulteriori.
Nel merito, i Vlep proposti per un certo numero di sostanze sono molto più elevati di quelli adottati in parecchi Stati membri. L’esempio più significativo riguarda la silice cristallina, una sostanza dispersa e respirata nelle polveri da un elevato numero di lavoratori (dall’edilizia alla metallurgia, alle produzioni ceramiche) e che provoca gravissime malattie del sistema respiratorio, quali la tristemente nota silicosi, ma anche il cancro ai polmoni. La Commissione propone un Vlep di 100 microgrammi per metro cubo, quando Danimarca, Finlandia, Spagna impongono un valore limite di 50, mentre l’Associazione degli igienisti industriali americani ne indica un Vlep di 25. Anche in Italia si ha lo stesso valore di riferimento, ma solo come soglia di obbligatorietà dell’assicurazione Inail per la silicosi. Il valore proposto dalla Commissione Ue non permetterà così di assicurare una protezione sufficiente dei cinque milioni di lavoratori che sono esposti a silice nell’Unione.
La questione ora passa al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri. Questi possono modificare la proposta della Commissione, in modo da migliorare la protezione dei lavoratori contro il rischio cancerogeno, estendendo il campo di applicazione della Direttiva ai prodotti tossici per la riproduzione (cosiddetti “reprotossici”), che costituiscono un rischio importante nel mondo del lavoro. La revisione della Direttiva sull’esposizione dei lavoratori ad agenti cancerogeni e mutageni, annunciata nel 2002, è stata a lungo congelata dalla Commissione stessa, che – nel quadro della sua campagna “Better Regulation” (migliore regolamentazione) – ha rifiutato di migliorare la protezione dei lavoratori contro il cancro, invocando “l’onere” che avrebbe rappresentato per le imprese. Le critiche convergenti del Parlamento europeo, di diversi Stati membri, di autorità sanitarie pubbliche e delle organizzazioni sindacali hanno permesso di rimettere in discussione questa paralisi.