“Questo referendum è una grande e bella avventura. Nessuno ha mai raccolto le firme d’estate. È un’impresa organizzativa ai limiti. Ma per la legge italiana le firme raccolte dopo il 30 settembre vanno in discussione nel 2016. Troppo tardi. Perché un referendum si svolga entro la primavera del 2015, bisogna che le firme siano raccolte entro il 30 settembre”. Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil, come una buona parte della confederazione sostiene i referendum contro l’austerità. Anzi, fa parte del comitato promotore della consultazione popolare. Iniziamo questa intervista chiedendogli il perché di questa scelta di tempi, di questa fretta. “È presumibile – ci risponde – che i nuovi equilibri nella Commissione andranno a un confronto nella primavera del 2015. Fino a ora i confronti sulla politica europea sono avvenuti o tra i governi, o tra i ministri, o nella Commissione stessa. Non c’è mai stato il modo di dare la parola al popolo, in questo caso a un popolo, quello italiano. È un fatto senza precedenti. Tutte le politiche europee dell’austerità espansiva – Fiscal compact, Sixpack – vengono fatte dai governi, il popolo non viene mai interpellato, se non di rimbalzo. Ricordi quello che avvenne in Grecia quando il presidente Papandreu provò a dire di fare un referendum su quanto chiedeva la Troika? Lo costrinsero immediatamente alle dimissioni”.

Rassegna Voi proponete comunque un referendum su una decisione del Parlamento italiano…

Barbi Sì, ma ha un significato che chiama in causa inevitabilmente l’Europa e le sue politiche di austerità. Facciamo un passo indietro. I quattro quesiti si riferiscono alla legge che ha recepito la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, rispetto al tema del bilancio dello Stato. Nella proposta costituzionale che inizialmente avanzò Monti si parlava di “zero deficit”, formula che venne poi annacquata in “pareggio di bilancio” e poi ancora in “equilibrio di bilancio”. Annacquamenti progressivi necessari per raggiungere i due terzi dei voti ed evitare i referendum confermativi. Poi però il governo fece una forzatura notevole, nella legge di recepimento, che nel titolo parla di nuovo di pareggio di bilancio.

Rassegna È stato fatto rientrare dalla finestra quello che era stato fatto uscire dalla porta…

Barbi Proprio così. La legge fu assai più restrittiva della modifica della Costituzione. Negli articoli che vogliamo modificare con il primo e il terzo quesito, si andò oltre i vincoli del Fiscal compact, che venivano considerati quasi un “minimo sindacale” oltre il quale era bene andare, quanto ad austerità. I quesiti due e quattro del referendum cercano invece di abrogare i vincoli introdotti tra il bilancio dello Stato italiano e l’Obiettivo di medio termine. Per fare un esempio, è per questa norma che il governo Monti s’impegnò a tenere il deficit al 2,5 per cento invece che al 3, ben sotto quanto previsto dal Fiscal compact. Insomma, non è solo l’ossessione montiana dell’austerità che viene chiamata in causa, ma anche il rapporto a questo punto “automatico” tra una decisione della Commissione e la contabilità dello Stato. Automatismo che non ha senso e va sconfitto: ci deve essere una discussione e il Parlamento deve essere libero di valutare di volta in volta la discussione che si è fatta con la Commissione.

Ma tutto questo sistema è solo l’applicazione delle politiche dell’austerità. Rimetterlo in discussione attraverso il voto popolare può produrre un effetto politico anche su queste strategie. Se, quando la nuova Commissione affronterà questi problemi, il popolo di un paese come l’Italia andasse a votare, si potrebbe produrre davvero un effetto di “destabilizzazione democratica”. Chiamandolo a votare su questi referendum, infatti, tu chiedi al popolo italiano un giudizio sull’austerità.

Rassegna In fondo, le modifiche che propongono i quattro referendum le avrebbe potute/dovute fare lo stesso governo e le forze politiche di sinistra, se questo non avesse significato mandare un messaggio “destabilizzante” al fronte rigorista con il quale Renzi, che punta sulla flessibilità, deve però convivere…

Barbi In realtà, il significato più profondo del referendum è che questa cosa non è delegata al governo. Il vero atout è il popolo e il referendum è l’unico meccanismo che si è trovato per farlo parlare su questa materia. Un giudizio diretto di un popolo sull’austerità non solo non c’è mai stato, ma le strutture europee hanno sempre fatto di tutto per impedirlo. Non è un caso che il Parlamento europeo non abbia votato sul Fiscal compact, ma lo abbiano fatto solo i Parlamenti nazionali su imposizione (quasi l’obbligo a dire sì) del Consiglio d’Europa e della Commissione. Si è creato di un cortocircuito democratico – c’è addirittura chi parla di post-democrazia – per cui su temi vitali come le politiche economiche non si fanno esprimere i popoli. Si è detto, più o meno: “La politica economica è così. Vi piace l’Europa (con questa politica economica)?”. Nessuno ha mai dato al popolo un’altra casella per dire, non se piace o meno l’Europa, ma se piace o meno la politica economica portata avanti dall’Europa, il che è ovviamente tutt’altra cosa. Questo è il valore aggiunto del referendum.

Rassegna Tutto chiaro. Resta il fatto, forse inevitabile con uno strumento come il referendum, di singoli quesiti di per sé scarsamente comprensibili proprio dal popolo…

Barbi Ma non a caso il comitato promotore ha scelto come parole d’ordine “Stop austerità” e “Sì alla fine dell’austerità, sì all’Europa del lavoro e di un nuovo sviluppo”. Noi non siamo ostili all’Europa, ma a questa politica economica. Lo strumento del referendum costringe a quel tipo di quesiti. Ma prova a pensare a una campagna elettorale nel paese sui referendum: alla fine parli dell’austerità, non dei dettagli della legge 243. Pensa all’effetto politico dirompente di un voto che supera il quorum e a stragrande maggioranza dice sì. Oggi è difficile dire esattamente quali sarebbero queste conseguenze, ma è indubbio che le cose non resterebbero come sono.

Rassegna Non solo sulla politica italiana…

Barbi La costruzione europea conta, da parte di molti, sull’impossibilità di esprimersi direttamente dei popoli, dei cittadini. Tu puoi votare per un Parlamento europeo che non decide su queste cose e al massimo mette delle dita nei buchi della diga. Ma la diga la costruisce il Consiglio d’Europa, e cioè i governi. Ma se i governi non parlano con i popoli, i “poteri forti” alla fine sono più forti di loro.

Rassegna Se si raggiungono le 500.000 firme e la Cassazione dice sì e si va al voto, che reazione ti aspetti dalle forze politiche?

Barbi Di sicuro ci sarebbe quella che prima ho chiamato destabilizzazione democratica. Non so quali risposte darebbero le forze politiche, ma sicuramente ci sarebbe un’accelerazione della discussione. Un voto così ha un bel peso. Come del resto vediamo dai tavoli che partono in questi giorni. Basta dire “contro l’austerità” e “contro la legge fatta da Monti” e la gente arriva. Anche il popolo può e deve essere un “potere forte”. Ma bisogna dargli la parola.