Si è chiusa la staffetta organizzata da Anpi e RadioArticolo1 per spiegare le ragioni del “No” al referendum costituzionale del 4 dicembre. “La Carta è nata con un'idea, con la certezza che la Costituzione stessa regge tutto e fonda le garanzie per tutti, questo noi vogliamo difendere. Non ci piace un testo che sembra più una legge delega che non una Costituzione”. Così il leader della Cgil Susanna Camusso nelle conclusioni al Teatro Brancaccio di Roma. “Non pensiamo che la Carta sia immodificabile – ha aggiunto –. Ciò che non si può cambiare è la certezza delle regole e che il Parlamento resti sovraordinato”. Camusso ha ricordato quanto sia importante esercitare il diritto-dovere di voto e allo stesso tempo “sconfiggere le paure” alimentate da chi propone scenari irreali e negativi per il nostro Paese se la riforma dovesse essere bocciata dai cittadini".

Oltre alle dirette delle iniziative, si sono alternati al microfono costituzionalisti, politici, partigiani, studenti, rappresentanti dell’Anpi nelle varie città, intellettuali e sindacalisti. Nella giornata del 24, tra gli altri, sono intervenuti per spiegare le ragioni del “No” Carlo Smuraglia, Gianfranco Pagliarulo (Patria Indipendente), il magistrato Gallo, Maurizio Franzini, economista dell’Università di Roma, La Sapienza, lo storico Paolo Prodi, il costituzionalista Volpi e Gaetano Azzariti della Sapienza di Roma, la segretaria confederale della Cgil, Gianna Fracassi, Truzzi del Fatto Quotidiano, Tarli Barbieri dell’Università di Firenze, nonché Giuseppe Civati. Sono intervenuti poi partigiani e partigiane, come Cavarischia, lo scrittore Raimo, il segretario confederale della Cgil, responsabile dell’organizzazione, Nino Baseotto, lo storico del pensiero politico Carlo Galli (Università di Bologna), Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale.

La lunga maratona del primo giorno si è conclusa con la diretta dall’iniziativa organizzata a Milano da Cgil, Arci e Anpi e durante la quale hanno parlato Massimo Bonini (Camera del lavoro), l’economista Roberto Artoni, Francesca Chiavacci e infine Carlo Smuraglia, presidente dell’Anpi e il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. La sindacalista ha detto che “non ci sarà nessuna invasione delle cavallette il 5 dicembre in caso di vittoria del No al referendum costituzionale. Non si aprirà nessun baratro che non sia già aperto e se l’Italia subirà di nuovo la speculazione finanziaria, questa sarà dovuta ad altri fattori, come l’enorme debito pubblico del paese”.

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Cofferati: la posizione di Renzi sull'Europa è strumentale 
Sergio Cofferati, parlamentare europeo, si è soffermato sul rapporto tra referendum ed Europa, proprio nel giorno in cui l’Economist ha “scelto” il “no”. Per Cofferati il dito puntato di Renzi contro le politiche economiche del continente è poco credibile: “L’Italia ha recentemente avuto il suo semestre europeo – ha detto –, ma ha condiviso tutte le scelte di rigore, a cominciare dal fiscal compact. Ha avuto cioè l'occasione per proporre altre cose, ma non lo ha fatto. Attaccare oggi su operazioni condivise senza però avere idee su cosa fare di diverso, dimostra la natura tutta strumentale di questa posizione”. In ogni caso, ha aggiunto il parlamentare europeo, “in Europa si guarda al referendum con attenzione, certo, ma senza quella fibrillazione o esaltazione che si vede nel nostro dibattito”. Quello che semmai preoccupa, per la stabilità, “è la legge elettorale che il governo ha fatto votare, che viene considerata sbagliata e foriera di instabilità. Credo che il motivo reale del prounciamento dell’Economist per il no riguardi proprio questo affetto”, ha concluso Cofferati.

Settis: vogliono eliminare l'elettore
“Eliminare l'elettore, questo è il cuore della riforma proposta. Si vuole arrivare a una riduzione complessiva della democrazia, e il testo sottoposto ora a referendum è solo il primo passo”. Lo ha detto Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, nel corso della staffetta per il No. “È facile constatare, leggendo la riforma – ha continuato Settis -, che in realtà si vogliono eliminare gli elettori delle provincie e non le province, e lo stesso si può dire del Senato, i cui componenti saranno nominati e non eletti. Non si tratta di un aumento di democrazia, come dicono, ma di una diminuzione”. Secondo lo storico dell'arte, invece, si dovrebbe puntare a “una democrazia partecipata”, cioè a una “democrazia dei cittadini in senso etimologico”, che ora “viene negata”. “I cittadini – ha detto - si devono rendere conto che sono cittadini sempre, non solo quando votano, e si deve ristabilire un rapporto diretto con i loro rappresentanti. Negli ultimi anni, e in questa riforma, è invece prevalsa l'idea per cui i cittadini non sono altro che aste da oliare per far scorrere in maniera più agevole i grandi poteri finanziari”. “La campagna referendaria – ha concluso - è molto simile a una pubblicità ingannevole. Si cerca di far passare l'immagine di governo paternalistico, che sorride, per distrarci dalla sostanza della riforma costituzionale. E' significativo che una parte grandissima di chi sostiene il Sì non entri mai nel merito del testo. Questa propaganda, da un punto di vista etico, non solo è ingannevole, ma anche colpevole”.

Montanari: la riforma non crea cittadini, ma consumatori
“Questa riforma non è un atto isolato, ma sta all’interno di un lungo percorso di smantellamento del progetto della Costituzione”. A dirlo è Tomaso Montanari, storico dell’arte e vicepresidente di Libertà e Giustizia. “Nella prima parte della Costituzione c’è l’articolo 9, a me particolarmente caro, dove si dice che la Repubblica promuove la cultura, la ricerca e tutela il patrimonio e il paesaggio” spiega Montanari: “Nel momento in cui la riforma riscrive le competenze tra Stato e Regioni cita l’ambiente, ma non parla più di tutela dell’ambiente, ma di ambiente senza tutela. È un piccolo segnale, ma molto significativo, della direzione in cui si va: quella di una messa a reddito, di una mercificazione, di una sovranità del mercato che cerca di abbattere gli ultimi argini. E la nostra Costituzione è un argine”. Montanari sottolinea anche il “grande pasticcio” che la riforma fa sul patrimonio artistico e culturale. “La riforma – conclude – mette insieme tutela e valorizzazione restituendoli allo Stato, correggendo quindi quanto scritto con la riforma del Titolo V del 2001, che diede la tutela allo Stato e la valorizzazione alle Regioni. Adesso, però, introduce un terzo elemento, quello della promozione, del marketing, che viene assegnato alle Regioni. Ciò produrrà conflitti di fronte alla Corte costituzionale, oltre a incentivare le più minuscole regioni italiane ad aprirsi grandi uffici di rappresentanza all’estero. Il minimo comun denominatore è la mercificazione del patrimonio culturale e artistico, un progetto che non crea cittadini ma clienti e consumatori”.

Urbinati: è accentramento verso una "democrazia dei capi"
"L'accentramento dei poteri è il filo conduttore di questa proposta". Così Nadia Urbinati, docente di Teoria politica nel Department of Political Science, Columbia University di New York. "Non so quanto sia voluto o pianificato - riflette la studiosa - , perché è difficile attribuire a fenomeni così complessi una mente individuale, però è così. Leggendo l'impianto della riforma e comparandolo a ciò che avviene altrove, si rileva sicuramente un accentramento". Il nuovo Senato proposto dal testo "è nominato a dosaggio dai partiti, che possono ignorare le indicazioni degli elettori: i partiti deboli quindi si rafforzano attraverso il potere dello Stato, che diventa un potere più loro che dei cittadini. Occorre espliciti in questo tempo di revisione della democrazia: si va verso forme nazionalistiche e presidenzialistiche, ovvero una 'democrazia dei capi' che esclude forme ampie di consultazione. La riforma dunque rappresenta in pieno lo spirito del tempo: sono molto preoccupata, vedo forme dirigistiche che si allontano dalla democrazia". Urbinati si sofferma sui movimenti emersi negli ultimi anni: "Il populismo, nonostante la retorica della mobilitazione dal basso, in realtà ha bisogno di essere incorporata da un leader dall'alto, che la guidi e la porti al potere. Il populismo, inoltre, è critico verso la democrazia dei partiti che viene definita compravendita e inciucio: al contrario, la democrazia è un processo che prevede la mediazione e il compromesso. Viene visto come un valore sapere chi è il capo assoluto nella sera stessa delle elezioni, ma la democrazia non ha capi". Con la riforma costituzionale "il potere va verso un esecutivo dei pochi, diventa un potere delegato e non diretto: per molte ragioni chi è pienamente democratico si mostra critico verso la riforma".

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Se il lavoro è fuori e anche altrove, C.Galli