Settimana rovente per il salvataggio di Alitalia. La prima fase del confronto tra azienda e sindacati sul nuovo piano industriale, che prevede 2.037 esuberi, ha confermato la distanza tra le parti. Oggi (mercoledì 5 aprile) si tiene lo sciopero di 24 ore indetto da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Trasporto aereo. Si tengono anche all'aeroporto di Roma Fiumicino (nel rispetto delle fasce di garanzia, dalle 7 alle 10 e dalle 18 alle 21) due presidi: il primo di piloti e assistenti di volo presso l’area Briefing (Area Arrivi, tra Terminal 1 e Terminal 2), dove si imbarcano gli equipaggi; il secondo di tutti i lavoratori di terra, presso l’Area Tecnica, davanti alla palazzina Alfa (via Nassetti).

90% di adesione allo sciopero

Per domani (giovedì 6), invece, è previsto l'inizio della trattativa a oltranza, convocata dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, per cercare di raggiungere un’intesa. Trattativa che dovrà comunque concludersi entro giovedì 13 aprile, perché il giorno seguente dovrebbe partire la manovra finanziaria, per complessivi 1,9 miliardi di euro, per dare ossigeno alle casse della società.

“Lo sciopero ha l'obiettivo di modificare l'attuale posizione degli azionisti di Alitalia” spiega il segretario nazionale della Filt Cgil Nino Cortorillo: “Il tempo a disposizione si sta consumando in fretta, anche a causa degli errori degli azionisti e dei lunghi tempi di decisione presi. Basare un piano sul vincolo di un accordo col sindacato, chiamato ad accettare licenziamenti e tagli retributivi, pone le basi di un ricatto, non di una trattativa". Se davvero non si vuole andare verso un epilogo drammatico, continua l'esponente sindacale, "serve che Alitalia divenga realista e non chieda al sindacato e ai lavoratori un consenso che su queste proposte è impossibile”. Un piano industriale, conclude Cortorillo, “privo di criteri di sviluppo e centrato unicamente sul taglio dei costi tra occupazione e salari”.

Azienda e sindacati, si diceva, sono molto distanti. Dopo due settimane di confronto al ministero dello Sviluppo economico non si sono compiuti passi avanti. I sindacati rigettano il piano di 2.037 esuberi (1.338 tempi indeterminati, 558 determinati e 141 in attività all’estero) e tagli alle retribuzioni, contestandolo nel suo complesso, visto che “non assicura una vera prospettiva di rilancio alla compagnia”. Anche sulla gestione degli esuberi c’è ancora grande incertezza: le ipotesi in campo vanno dall'uscita volontaria sostenuta dalla Naspi al possibile ricorso al fondo di solidarietà, fino alla cassa integrazione non espulsiva.

Entrando nel merito dei numeri, negli ultimi giorni è emerso il nodo relativo agli 813 lavoratori (704 indeterminati e da 109 determinati), più di un terzo dei 2.037 esuberi, coinvolti nelle operazioni di terziarizzazione previste dal business plan. Circa la metà di questi, precisamente 413, sarebbero a rischio licenziamento: sono lavoratori impiegati in una ventina di tipologie di lavoro diverse (come finanza, personale, call center), per le quali è prevista la sola cessione di attività senza passaggio di personale. Salvaguardati sarebbero invece i restanti posti di lavoro (tra cui 314 addetti della manutenzione), anche se per questi si attende il buon esito delle trattative con le società esterne.

Altro tema di forte dissidio è quello del nuovo contratto di lavoro del personale navigante. La compagnia punta a risparmiare circa 78 milioni di euro: 70 deriverebbero dal taglio lineare del 20-30 per cento delle retribuzioni di piloti e assistenti di volo, mentre i restanti otto dalla riduzione degli equipaggi a bordo degli aerei (allo scopo di recuperare produttività), dall’abolizione degli scatti di anzianità e dagli interventi sui congedi parentali, sulle ferie e sui riposi.