“L’Italia è il Paese con il più alto debito pubblico del mondo, con 4 mila miliardi di ricchezza concentrati nelle mani di poche persone e 200 miliardi di evasione. È l’ora di affrontare questo trittico e iniziare la redistribuzione, rafforzando il ruolo del pubblico, altrimenti non si riesce nemmeno a ricostruire un ponte quando c’è bisogno”. Così il segretario confederale della Cgil Vincenzo Colla durante un dibattito sulle infrastrutture alle Giornate del lavoro in corso a Lecce, a un mese esatto dal disastro di Genova. Al centro della discussione, il recente decreto del governo che sta suscitando molte polemiche per la sua inconsistenza. “Lo scontro istituzionale sulle responsabilità per la ricostruzione – ha aggiunto Colla – è quanto di più lontano si possa immaginare rispetto a ciò che servirebbe in un momento come questo, cioè unità e coesione della politica, coinvolgendo tutti i soggetti interessati”.

È dello stesso avviso la senatrice del Pd Teresa Bellanova: "Non si capisce neanche se siamo di fronte a un vero decreto. Non c’è nulla per la ricostruzione immediata, non è chiaro chi deve intervenire. Di fronte a situazioni drammatiche come queste, il Paese avrebbe bisogno di unità per risolvere i problemi. Lo straccio d’ipocrisia con cui il governo si presenta a Genova è invece il risultato di un mese di parole vuote. Dove sta la revoca della concessione? Chi deve demolire e ricostruire, e con quali risorse?”, incalza la senatrice dem rivolgendosi all'esecutivo: “Qui si perde tempo per comporre diatribe politiche che non interessano ai cittadini e intanto si scaricano le responsabilità sugli amministratori locali".

Per il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra, quella di Genova “è una ferita profonda per la comunità nazionale e i ritardi del governo sono incomprensibili e inaccettabili. Manca un clima di unità e di coesione, il decreto è un contenitore vuoto: non ci sono le scelte su chi affidare i poteri, né sulle risorse”. L’altra urgenza, ha osservato, è “dare risposte alle centinaia di famiglie nel dramma che reclamano un tetto. C’è un tessuto economico e produttivo ormai lacerato, il rischio è perdere migliaia di posti di lavoro”.

Il caso del ponte Morandi, hanno osservano i partecipanti al dibattito, è soltanto la punta di un iceberg, perché le infrastrutture e le reti nel nostro Paese avrebbero bisogno di ben altra attenzione, a cominciare dai porti. Lo ha ricordato Tito Vespasiani, segretario generale dell’ Autorità portuale del mare adriatico meridionale: “Guardiamo l’Egitto: hanno raddoppiato il canale di Suez e così sono riusciti a far passare da lì la gran parte dei traffici tra Europa ed Estremo Oriente, il 25 per cento dei container, il 30 per cento del petrolio. E l’Italia – sottolinea Vespasiani – sarebbe il ponte naturale per attrarre questi traffici. Serve un piano strategico, non opere faraoniche”, conclude, riferendosi in particolare alle connessioni tra porti e ferrovie.

Gli investimenti sono necessari per tutti settori, compreso ovviamente il trasporto aereo, ha aggiungo Vincenzo Colla: “Il turismo rappresenta il 13 per cento del nostro Pil e 3 milioni di lavoratori. Se muore Alitalia – ha osservato il dirigente sindacale – si colpisce un settore strategico”. Più in generale, ha concluso, “solo una vera politica industriale può dare le risposte necessarie al Paese. Altro che pace fiscale, quello è solo un grande condono e non farà altro che aumentare la rabbia di chi è più debole”.