Ne’ strass, ne’ luccichii. Niente rulli di tamburi, calze a rete, cappelli a cilindro e paillettes. E chi si aspettava il venghino venghino siore e siori, si ritrova invece davanti a facce quasi più, quasi meno, che adolescenziali, tute da ginnastica, piedi scalzi, il gesto tremolante di un giocoliere che si fa scappare un birillo ribelle. E poi scugnizzi napoletani che transitano su palloni roteanti e ti lanciano addosso un gergo potente e inquietante, fratelli brasiliani che si librano di qui di li’ come gazzelle africane. I sorrisi che arrivano da questi giovani circensi, anche se imposti dallo show che must go on, riescono a restituire la spontaneità espressiva di una generazione così giovane che, si vede, non ha ancora imparato a fingere.

Eccolo qua il CircoMondo, il Circo del Mondo che raccoglie i figli della strada, delle peggiori strade del mondo, li pesca a Casal di Principe nel napoletano per strapparli alla camorra, li raccoglie tra le favelas, tra le macerie israelo-palestinesi, li scova in quegli angoli bui del mondo dove in fondo non è neanche tanto vero che non hanno un futuro: ce l’hanno eccome il futuro. Il futuro è lì che aspetta di affondargli le unghie addosso, riservandogli posti di lavoro ben sicuri: spaccio e microcriminalità, tanto per iniziare, e poi baby-eserciti africani, prostituzione…

Si chiama Circo sociale. E’ sociale, lo dicono gli educatori professionali che accolgono e istruiscono questa infanzia, perchè questo metodo-circo viene “usato” come strategia di avvicinamento all’infanzia, come formazione sociale, come strumento per costruire fiducia, autostima, attraverso il gioco che presentato così, restituisce l’infanzia ai bambini delle terre in guerra, ai bambini cittadini solo dei campi profughi, ai bambini prigionieri delle marginalità urbane.

Ed è anche molto sociale andare a vederlo il Circo Mondo, che ha bisogno del suo pubblico, che sia lì a ratificare i risultati raggiunti, che diventi ideale interlocutore e compagno di questi figli e fratelli della strada. Un pubblico che non può porsi solo come spettatore gaudente, anzi deve accettare come dietro la leggerezza visiva dello spettacolo si annidino significati che rimandano alla tragedia della storia, come quella valigia di cartone che viaggia da un capo all’altro dell’arena circense facendo tappa su certe date miliari, dalla nascita dello stato israeliano alla prima intifada, senza risparmiarti poi il riferimento al sangue versato. O il bambino addormentato-dimenticato tra i sacchi neri della spazzatura nostrana.

Circomondo si riproporrà ancora, con grande probabilità tra due anni, per aspirare a diventare un appuntamento consolidato, un re-incontro istituzionale, così anticipa Adriano Scarpelli, di Carretera Central associazione organizzatrice del Festival Internazionale Circomondo, per dare spazio alle tantissime realta’ di circo sociale sparse in tutti i continenti del mondo. Secondo i programmi, tra due anni potrebbero arrivare a Siena il circo sociale del Congo che impiega gli ex bambini soldato e il circo sociale dell’Afghanistan, che offre ai bambini afghani uno sfogo ludico e pedagogico, alternativa ad una realtà di guerra e povertà.
venghino venghino siore e siori, si ritrova invece davanti a facce quasi più, quasi meno, che adolescenziali, tute da ginnastica, piedi scalzi, il gesto tremolante di un giocoliere che si fa scappare un birillo ribelle. E poi scugnizzi napoletani che transitano su palloni roteanti e ti lanciano addosso un gergo potente e inquietante, fratelli brasiliani che si librano di qui di li’ come gazzelle africane. I sorrisi che arrivano da questi giovani circensi, anche se imposti dallo show che must go on, riescono a restituire la spontaneità espressiva di una generazione così giovane che, si vede, non ha ancora imparato a fingere.

Eccolo qua il CircoMondo, il Circo del Mondo che raccoglie i figli della strada, delle peggiori strade del mondo, li pesca a Casal di Principe nel napoletano per strapparli alla camorra, li raccoglie tra le favelas, tra le macerie israelo-palestinesi, li scova in quegli angoli bui del mondo dove in fondo non è neanche tanto vero che non hanno un futuro: ce l’hanno eccome il futuro. Il futuro è lì che aspetta di affondargli le unghie addosso, riservandogli posti di lavoro ben sicuri: spaccio e microcriminalità, tanto per iniziare, e poi baby-eserciti africani, prostituzione…

Si chiama Circo sociale. E’ sociale, lo dicono gli educatori professionali che accolgono e istruiscono questa infanzia, perchè questo metodo-circo viene “usato” come strategia di avvicinamento all’infanzia, come formazione sociale, come strumento per costruire fiducia, autostima, attraverso il gioco che presentato così, restituisce l’infanzia ai bambini delle terre in guerra, ai bambini cittadini solo dei campi profughi, ai bambini prigionieri delle marginalità urbane.

Ed è anche molto sociale andare a vederlo il Circo Mondo, che ha bisogno del suo pubblico, che sia lì a ratificare i risultati raggiunti, che diventi ideale interlocutore e compagno di questi figli e fratelli della strada. Un pubblico che non può porsi solo come spettatore gaudente, anzi deve accettare come dietro la leggerezza visiva dello spettacolo si annidino significati che rimandano alla tragedia della storia, come quella valigia di cartone che viaggia da un capo all’altro dell’arena circense facendo tappa su certe date miliari, dalla nascita dello stato israeliano alla prima intifada, senza risparmiarti poi il riferimento al sangue versato. O il bambino addormentato-dimenticato tra i sacchi neri della spazzatura nostrana.

Circomondo si riproporrà ancora, con grande probabilità tra due anni, per aspirare a diventare un appuntamento consolidato, un re-incontro istituzionale, così anticipa Adriano Scarpelli, di Carretera Central associazione organizzatrice del Festival Internazionale Circomondo, per dare spazio alle tantissime realta’ di circo sociale sparse in tutti i continenti del mondo. Secondo i programmi, tra due anni potrebbero arrivare a Siena il circo sociale del Congo che impiega gli ex bambini soldato e il circo sociale dell’Afghanistan, che offre ai bambini afghani uno sfogo ludico e pedagogico, alternativa ad una realtà di guerra e povertà.