Nella crisi, quando si restringono gli spazi di partecipazione, anche il “conflitto”, la protesta, paradossalmente, diventano più difficili. E il potere politico tende a renderli sempre più complicati: a partire dalla forma più tradizionale della protesta che è naturalmente quella dello sciopero. Temi, questi, che sono chiaramente europei: perché gli avversari comuni dei lavoratori, in questa fase, sono austerità, privatizzazioni, restrizione dei diritti e tagli allo stato sociale. Cosa fare per fronteggiare questo attacco generale a partire, però, da culture e storie sindacali così diverse? 

Argomenti decisivi, di cui si è discusso a Lecce nel corso delle Giornate del lavoro in un incontro dal titolo emblematico: “Difendere il diritto di sciopero in Italia e in Europa”, coordinato dal giornalista dell’Unità Massimo Franchi. La discussione è stata preceduta dal racconto di una vicenda italiana di cui si è molto parlato, quella che nel 18 settembre ha riguardato i lavoratori del Colosseo a cui fu negata l’assemblea, costringendoli di fatto, per discutere di temi essenziali come salario e organizzazione del lavoro, a entrare in sciopero. Il decreto che ne seguì, come ha raccontato il delegato Claudio Galli, “ha ormai reso di fatto quasi impossibile non solo scioperare, ma anche svolgere assemblee”.

Storie di diritti negati simili in tutta Europa. Mir Roca Monserrat, della segreteria Ces, ha ricordato il caso emblematico in Spagna degli oltre 300 sindacalisti “che per un articolo del codice penale, il 315 che regola lo sciopero e che risale a Franco, rischiano l’incarcerazione. Un articolo che utilizza anche Rajoy, con un obiettivo chiaro: eliminare il diritto di sciopero”. Anche se, la notizia positiva, è che “per le prossime elezioni politiche i partiti politici si sono impegnati a modificarlo”.

Anche nel Regno Unito, il diritto di sciopero non se la passa bene. Come ha spiegato Clara Paillard, presidente settore cultura del Pcs, “il diritto di sciopero da noi sostanzialmente non è legale, è solo tollerato. E ora il progetto di Cameron è molto pericoloso perché punta a restringerlo ancora di più. Con le regole nuove, ci sarebbe la necessità che il 50% degli iscritti lo voti per posta. Cosa che lo renderebbe di fatto impossibile, essendo questa percentuale superiore a quella dei votanti alle elezioni politiche”. Tuttavia, la sindacalista nota che l’austerità, il taglio ai servizi, spingono i lavoratori a “scoprire una nuova voglia di protestare, con una grande solidarietà dei cittadini”. 

E ricorda, “i 100 giorni di sciopero alla National Gallery di Londra dello scorso anno contro la privatizzazione e la lotta che stanno conducendo ora i lavoratori dei musei del Galles per salari dignitosi, e che non solo sono compresi, ma anche appoggiati dai cittadini”. In un paese dove non si sciopero tanto, questa mobilitazione ha spinto gli altri a muoversi: hanno scioperato  insegnanti e “ora addirittura i medici, per la prima volta”.

In Italia, almeno sulla carta, il diritto di sciopero se la passa meglio, essendo un diritto di rango costituzionale. “Tuttavia – ha detto Marco Broccati, responsabile contrattazione settori pubblici della Cgil - il decreto Franceschini successivo alla vicenda Colosseo può rappresentare un precedente assai pericoloso, perché introduce per i beni culturali una fattispecie pericolosa: e cioè che in caso di sciopero, oltre alla vigilanza sui ‘beni’, deve essere garantita la loro apertura il pubblico, il che è un salto logico incredibile”.

Cosa fare dunque per difendere il diritto di sciopero e insieme lottare contro le politiche di austerità in Europa? Franchi ha provato a sollecitare gli ospiti sul tema dello sciopero europeo e più in generale della possibilità-necessità di iniziare a intestarsi lotte comuni. Capitoli su cui tutti si sono dimostrati d’accordo, anche se ammettono che sarà difficile, viste le difficoltà anche legislative, arrivarci in tempi brevi. Monserrat ha però sottolineato il nuovo protagonismo della Ces che ha appena avviato una campagna sui diritti del lavoro con i parlamentari europei, chiedendo il loro impegno concreto affinché “i diritti sindacali siano considerati come diritti umani fondamentali, rispetto ai quali non è possibile derogare”.

Anche per Paillard “solo uniti e solidali si può lottare e vincere”. Broccati, in conclusione, ha sottolineato come l’Europa dovrebbe diventare una comunità effettiva: “Bisogna provare cioè a ridurre sempre più le disomogeneità, come quelle che riguardano per esempio salari e orario di lavoro”. Questi limiti rappresentano il sostrato che rende da un lato difficili battaglie effettivamente comuni e, dall’altro, più facile, da parte del potere, il tentativo di reprimerle.