Il numero delle donne che lavorano nel mondo è il più alto di sempre, seppur persistano differenze di genere nell’accesso al mercato del lavoro e all’istruzione, status e stabilità del salario ecc. In questo contesto, in cui si sta producendo una femminilizzazione dei lavori poveri (definizione Ilo), l’occupazione delle donne nel mondo del lavoro è caratterizzata dalla cosiddetta discriminazione/segregazione di genere: le donne per ragioni culturali, fisiche, religiose non sono impiegate negli stessi lavori degli uomini anche all'interno dello stesso settore, sia con divisioni tra tipi di attività e mansioni svolte (discriminazione orizzontale), sia rispetto all'inquadramento/carriera (discriminazione verticale).

La discriminazione/segregazione comporta un’esposizione diversa per tipologia di rischi lavorativi, intensità e durata. Sostanzialmente la letteratura ci dice, ormai da diversi anni, che nella maggioranza dei casi il lavoro femminile è caratterizzato da azioni ripetitive, monotone, con uno sforzo statico e responsabilità multiple (dentro e fuori dal lavoro) che minacciano sia la salute fisica che quella mentale (malattie muscolo-scheletriche, disturbi mentali-depressione, asma).

Gli spazi, gli equipaggiamenti e le attrezzature, i ritmi derivano da un’organizzazione del lavoro creata per una popolazione maschile, che peraltro corrisponde al “neutro” uomo medio. Così come tra le patologie specificatamente femminili (aborti spontanei, nascita pretermine, ridotta fertilità, endometriosi) è stata dimostrata una correlazione all’esposizione a fattori di rischio occupazionali e ambientali. A questo quadro si sommano le molestie, le discriminazioni, il mobbing e la vera e propria violenza che viene esercitata nei confronti delle donne, dentro e fuori dai luoghi di lavoro.

Ciononostante, malgrado la letteratura e le indagini svolte anche da noi in questi anni facciano emergere chiaramente gli elementi a cui prestare attenzione nella contrattazione e nella prevenzione, c’è ancora un lavoro importante da fare. A cominciare da una serie di azioni che qui si tenta di riassumere: 1) provando a ridurre la discriminazione/segregazione orizzontale e verticale nei luoghi di lavoro. Un passo che riguarda anche la scelta dei nostri Rls: dobbiamo mettere nelle condizioni le nostre compagne nei luoghi di lavoro di poter scegliere di fare le rappresentanti salute e sicurezza; 


2) investendo nella formazione con un’ottica di genere, che dia gli strumenti tecnici e culturali da agire nella contrattazione dell’organizzazione del lavoro, degli orari, della salute e sicurezza e nella contrattazione territoriale; 


3) provando a partire dalla contrattazione di genere sugli aspetti meramente fisici (maternità ecc.) per tentare poi di avere un’attenzione anche agli aspetti socio-culturali; 


4) uscendo dallo stereotipo che la contrattazione è neutra; 


5) rilanciando nella contrattazione territoriale una discussione a tutti i livelli in merito alla programmazione e agli investimenti nella sanità pubblica, per contrastare l’assioma che sanità e salute siano solo un problema di costi, ampliando in questo modo la sanità privata. Si assiste infatti al mancato accesso alla cure sanitarie di buona parte della popolazione (circa 12 milioni di cittadini italiani non riescono più a curarsi); alla chiusura e mancanza di servizi sanitari intermedi nel territorio e di assistenza domiciliare; alla carenza strutturale di organico in ambito sanitario, socio-assistenziale e nella prevenzione territoriale. Senza dimenticare la totale assenza di una politica che 
guardi alla prevenzione.

L’ultima considerazione riguarda la necessità di dare continuità alla nostra attività nei luoghi di lavoro e nel territorio, affinché la prevenzione, la tutela della salute, i diritti tornino al centro delle politiche pubbliche e della nostra azione politico sindacale.

Elena Petrosino, segreteria Camera del lavoro di Torino