Maurizio Sacconi non è affatto contento della piega che ha preso il negoziato sulla riforma del mercato del lavoro. Intervistato dal Messaggero osserva: “Se davvero dovessimo registrare il barometro delle parti sociali dovremmo constatare che c'è più apertura nel sindacato di quanta vi sia da parte di tutte le organizzazioni dei datori di lavoro. E non si può non considerare con preoccupazione il dissenso delle imprese, come si evince dalle dichiarazioni molto dure della Marcegaglia e quelle altrettanto negative della Rete imprese Italia”.
Secondo l’ex ministro del lavoro le ragioni d’insoddisfazione sono “le proposte insufficienti in materia di articolo 18, il maggiore costo del lavoro e le nuove rigidità per l'apprendistato e i contratti a termine”.  Il nodo vero comunque è quello dell’articolo 18. “Quello che conta – dice Sacconi– è che la reintegrazione dovrebbe restare soltanto per il licenziamento discriminatorio”. E il governo ha un compito ben preciso. “Il governo Monti è stato da noi sostenuto affinché realizzi l'agenda europea. Il suo compito era noto. L'agenda europea prevede la riforma dell'articolo 18, inequivocabilmente. Come è già accaduto con le pensioni, il governo ha la responsabilità di fare una proposta forte al Parlamento e di chiederne l'approvazione. Se lo ha fatto sulle pensioni, ora Monti lo può e lo deve fare anche sull'articolo 18”.