"La legge di stabilità è una provocazione insopportabile e inaccettabile, perché 221 milioni per il rinnovo dei lavoratori pubblici sono un'elemosina". Così il segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori, ha introdotto la manifestazione di sabato 28 novembre a Roma, con i lavoratori pubblici in piazza per il contratto, ai microfoni di RadioArticolo1 nella trasmissione "Italia Parla" (ascolta il podcast integrale). Con le cifre nella manovra di bilancio "non si compra neanche un caffè - ha spiegato -, per questo è una proposta irricevibile: abbiamo lavorato per cambiarla, ma il governo Renzi preferisce gli annunci spot come 80 euro per i lavoratori della polizia".

Da parte sua, il sindacato "ha avanzato una richiesta di 150 euro di aumento per il rinnovo contrattuale. Dopo sei anni di blocco i lavoratori pubblici hanno diritto ad un contratto nazionale che sancisca l'aumento. Insieme a questo serve un finanziamento per la contrattazione integrativa, che è la seconda gamba del contratto e bisogna mettere a frutto. Voglio dire con nettezza - ha chiarito - che non ci sarà un aumento medio di 8 euro, come suggeriscono le cifre di Renzi: non ci metteremo mai al tavolo per rinnovare il contratto con questa proposta economica ridicola".

Dettori ha quindi proseguito: "Nella nostra mente, se non cambierà nulla, siamo pronti ad arrivare allo sciopero generale del lavoro pubblico. La Legge di stabilità è dietro l'angolo, per questo faccio un appello affinché la piazza del 28 sia una piazza piena, gioiosa, allegra ma anche arrabbiata e adirata, perché bisogna dare una risposta al governo e chiedere la modifica immediata del finanziamento per i rinnovi all'interno della legge".

Una manifestazione che arriva dopo i fatti di Parigi e il ritorno del terrorismo internazionale. "La piazza sarà anche una risposta gioiosa alla paura - per il segretario -, vogliamo battere la paura di attacchi terroristici. Il terrorismo si vince con la pace, con le manifestazione pacifiche, e allora scendere in piazza sabato è una nostra libertà e nostro dovere come cittadini e lavoratori: in quella piazza rivendicheremo il riconoscimento del contratto, ma anche l'orgoglio di essere lavoratori pubblici che hanno diritto alla contrattazione, a discutere l'organizzazione del lavoro, a vedere eliminate le leggi sbagliate da Brunetta alla Madia. Vogliamo riprendere in mano la contrattazione e bloccare le norme che il governo Renzi approva: se c'è una cosa che questo esecutivo è stato in grado di fare - infatti -  è sicuramente colpire il lavoro pubblico, un'idea berlusconiana che è proseguita nel tempo".

Tra Brunetta e Madia "c'è un filo evidente: il ministro Madia ha mantenuto pienamente in vigore la legge 150, in più ha fatto un decreto che ha peggiorato le condizioni dei dipendenti pubblici, ovvero il decreto sulla mobilità nei 50 chilometri che si traduce in demansionamento. Non c'è stato nessun cambio, la legge Madia è una prosecuzione delle politiche precedenti. In generale non è cambiata l'idea che si ha dei nostri lavoratori: ci sono tante persone che offrono servizi pubblici, essenziali per il paese, che si vedono negati i diritti e il rinnovo del contratto nazionale da sei anni".

Il segretario ha chiuso sulla sanità. "I tagli alla sanità restano - a suo avviso -, anche se il presidente del Consiglio dice che non è vero. Allora bisognerebbe chiedere a Renzi di leggere i numeri: c'è un taglio di 4 miliardi e 444 milioni alla sanità, che sono in parte il non finanziamento al Patto per la salute, poi c'è il taglio che è avvenuto con il decreto sugli enti locali, un ulteriore taglio che si scaricherà su Regioni e Province. Tutti sanno che i bilanci delle Regioni per l'80% sono fatti dalla sanità, è evidente che alla fine il taglio sarà pesantissimo", ha concluso.

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