Non può passare inosservato il rapporto della Commissione Socio-economica per l'Asia Occidentale del Comitato Economico e Sociale delle Nazioni Unite sulle conseguenze dell'occupazione israeliana sulle condizioni di vita della popolazione palestinese nei Territori Occupati, a Gerusalemme Est, a Gaza e sulle alture del Golan, per il periodo marzo 2011 - marzo 2012.

Il rapporto, infatti, descrive con chiarezza cosa stia accadendo ai palestinesi mentre il processo di pace è congelato e l'attenzione della comunità internazionale sembra essere orientata altrove, tra crisi globale, emergenze e nuovi conflitti.

L'introduzione del rapporto parla da sé, ponendo il problema in tutta la sua essenza:

“L'occupazione da parte di Israele dei territori Palestinesi, includendo Gerusalemme est, e l'uso di politiche e di misure che violano una quantità di norme del diritto umanitario internazionale hanno determinato conseguenze dirette sulle condizioni sociali ed economiche della popolazione palestinese che vive nei territori occupati. Durante il periodo preso in esame (marzo 2011 – marzo 2012) 122 palestinesi sono stati uccisi, di cui 12 minori, e 2.077 sono stati feriti, compresi 362 minori. A febbraio 2012, si registrano rapporti di violazione di diritti umani su 4.411 Palestinesi rinchiusi nelle prigioni israeliane. Le autorità israeliane hanno distrutto oltre 620 proprietà palestinesi durante il 2011, 42% in più rispetto al 2010. 1.100 Palestinesi risultano sfollati per la perdita delle loro abitazioni. 140 hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni dopo aver subito violenze da parte dei coloni.

Circa 519.000 coloni israeliani vivono in 144 insediamenti illegali e circa 100 avamposti all'interno dei Territori Palestinesi Occupati. Il 2011 è risultato essere un anno di intensa attività da parte dei coloni, rispetto ai precedenti anni, con una strategia d'azione tesa a rompere la continuità dei territori palestinesi. Gli atti di violenza da parte dei coloni israeliani sono aumentati, come l'appropriazione di terreni e proprietà palestinesi. Israele ha continuato la costruzione dei 708 chilometri di Muro di separazione, il cui 85% è all'interno dei Territori Palestinesi. Il Muro isola i villaggi dall'accesso alle risorse naturali, mentre Gerusalemme Est è scollegata dal resto dei territori Palestinesi della West Bank. Continua il blocco israeliano su Gaza, imposto da quando, nel giugno del 2007, Hamas ha preso il potere, determinando una punizione collettiva sulla popolazione civile.

Durante l'anno 2011, gli ostacoli e le barriere che impediscono la libera circolazione ai Palestinesi all'interno della West Bank, sono cresciute fino a raggiungere il numero di 520 differenti tipi di ostacoli. Israele continua lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali esistenti nei territori occupati. In aggiunta a ciò, la popolazione palestinese e siriana che vive sotto occupazione continua a soffrire discriminazioni rispetto all'approvvigionamento dell'acqua.

La crescita economica nei Territori Palestinesi Occupati continua ad essere insostenibile e riflette un modello di economia di sussistenza, impostata su una produzione non rivolta al mercato. La disoccupazione rimane molto elevata, povertà e insicurezza alimentare, soprattutto per la popolazione di Gaza, rimangono condizioni allarmanti. Israele continua l'espansione delle colonie nei territori siriani del Golan, mentre la popolazione araba siriana continua a subire discriminazioni e restrizioni, inclusa l'espropriazione delle risorse naturali da parte dei coloni israeliani per loro esclusivo utilizzo.”

Nel frattempo, il Parlamento Europeo è impegnato nella discussione per la ratifica dell'accordo ACAA (Accordo sulla valutazione della conformità e l'accettazione dei prodotti industriali) tra Unione Europea ed Israele. Gli stati membri dell'Unione Europea, Italia in testa, continuano a sottoscrivere accordi e contratti di cooperazione militare e commerciale. Negli Stati Uniti d'America, in attesa delle prossime elezioni di novembre, il Presidente Obama e il suo sfidante, il repubblicano Romney, fanno a gara per conquistare l'importante voto della lobby ebraica americana, per cui non vi è spazio per dichiarazioni o richieste di rispetto dei più elementari diritti umani per i Palestinesi. I paesi BRICS, con la sola eccezione del Sud Africa, non rinunciano alla logica del business, accreditando Israele, con contratti e consulenze, come leader per la sicurezza mondiale.

Il rapporto annuale dell'Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL), presentato alla101ma Conferenza del giugno scorso, si affianca a quello dell'ECOSOC nel segnalare la drammaticità della situazione. Il rapporto OIL denuncia che, se si continua così, l'ipotesi di uno Stato Palestinese al fianco di quello israeliano non si potrà più realizzare per l'assenza di condizioni reali sul campo, come la continua erosione di terra palestinese, l'impossibilità di investimenti nella Zona C, la chiusura delle frontiere e le restrizioni alla mobilità dei Palestinesi. Per non parlare dei diritti negati a lavoratori e lavoratrici, ivi comprese le restrizioni di libertà individuali e collettive.

Ma oramai siamo abituati a vedere questi rapporti cadere nel vuoto e nel silenzio della politica dei nostri giorni. Mentre tutto il Medio Oriente vive un sommovimento storico, la comunità internazionale sembra voler isolare il conflitto principale, quello israelo-palestinese, da tutte le altre aree di crisi, ipotizzando uno scenario dove attraverso la politica degli alleati dell'Occidente, Sauditi e Qatar in prima fila, si possa ricostruire una situazione di scambio tra legittimità politica dell'Islam moderato e garanzia di accesso alle risorse energetiche per le economie occidentali, ingessando per altri cinquant'anni la domanda di libertà, di diritti, di democrazia delle popolazioni di questa regione.

Nel frattempo, lo scenario prevede il sostegno alla politica dei governi di Israele, a prescindere, in quanto il paese viene eretto ad avamposto occidentale in Medio Oriente. Non importa se vi sia un'occupazione in corso da 45 anni, con un popolo senza Stato, che subisce violazioni di tali e tanti trattati ed accordi internazionali e risoluzioni delle Nazioni Unite da annullarne la credibilità e la legittimità. Tolleranza ancor più “giustificata” dall'eventualità che, in caso di bisogno, Israele, a difesa della sua sicurezza, che coincide sempre più con gli interessi delle potenze occidentali, è pronto ad intervenire militarmente e con mano dura, contro Iran o altra nazione, senza dover passare per risoluzioni e mandati internazionali o dibattiti parlamentari.

Ai Palestinesi non resta che leggere i rapporti annuali per essere informati sulle loro pessime condizioni di vita. A loro viene chiesto di rispettare e di riconoscere il paese vicino, Israele, senza se e senza ma, pena la chiusura dei rubinetti della cooperazione, dei sussidi e la nota infamante di non essere maturi e attendibili come partner per ambire ad un proprio Stato. E' interessante leggere l'ultima intervista rilasciata al giornale inglese The Independent dal Primo Ministro palestinese Salam Fayad, che conferma questa situazione di disperazione, data dallo stato di abbandono, che lui definisce di “marginalizzazione”, in cui la comunità internazionale ha relegato la questione palestinese. Anche Fayad lancia l'ennesimo ultimo appello a governi e agenzie internazionali.

E’ impossibile tacere su quanto accade in Palestina, non chiedere conto ai governi delle loro responsabilità, dello scollamento sempre più netto tra la necessità di costruzione di un sistema globale fondato sulla democrazia, sui diritti, sulla giustizia sociale e, quindi, sulla convivenza pacifica, e la strada intrapresa nei confronti dei processi in corso in Medio Oriente ed in Nord Africa.

* Dipartimento politiche globali Cgil