Come uscire dall’austerità senza uscire dall’eurozona? Ho cercato di dare una risposta a quella che appare come la classica domanda da 10 milioni di dollari attraverso la pubblicazione di un eBook, “Per una moneta fiscale gratuita”, edito da MicroMega e scritto assieme a Biagio Bossone, Marco Cattaneo ed Enrico Grazzini. Una risposta che, in sintesi, suona così: creando una moneta fiscale (Ccf, Certificati di credito fiscale) complementare all’euro per alimentare la domanda e fare uscire l’economia italiana fuori dalla trappola della liquidità, rispettando comunque le regole e i vincoli (peraltro iniqui e suicidi) dell’Europa.

Prima di illustrare le potenzialità di una manovra con i Certificati di credito fiscale, è opportuno precisare alcuni aspetti sulla natura e sul valore dei Ccf. A cominciare dal fatto che si tratta di titoli pubblici che conferiscono al portatore un diritto a una futura riduzione fiscale, trasferibile a terzi, che non generano un debito al momento dell’emissione e che presentano un vantaggio essenziale: rispettano tutti i vincoli posti dai trattati e dai regolamenti dell’eurozona. Il loro valore non è soggetto ad alcun rischio di svalutazione sul mercato dei titoli, sia quello borsistico che quello Otc (dove si scambiano i titoli “al banco”).

Un Ccf da 100 euro alla fine varrà sempre 100 euro, qualsiasi cosa accada sui mercati. Dove invece può accadere che una Cdo o un Cds che al momento dell’emissione valevano 100, tempo dopo, quando si vuole rivenderli, valgano la metà o meno. Ultima precisazione: il denaro potenziale rappresentato dai Ccf è denaro legalmente “pieno” (nel senso che si applica all’espressione “legal tender”), poiché essi vengono per definizione accettati per pagare le tasse allo Stato. Che è il maggior riconoscimento a cui qualsiasi forma di denaro possa pretendere, quale che sia la sua apparenza o denominazione come moneta circolante in una nazione.

I Ccf, quindi, hanno un controvalore monetario sicuro e interessano esclusivamente chi paga le tasse in Italia. Nel libro abbiamo ipotizzato la possibilità che i Ccf siano convertibili in euro, un’eventualità che potrebbe avere diverse controindicazioni. Sono convinto che sarebbe opportuno immaginare dei meccanismi che spingano ad accettare direttamente i Ccf, riducendo al massimo la necessità di conversione in euro, un’operazione che chiama in causa le banche, che può determinare una perdita di valore dei Ccf stessi e che non assicura automaticamente che gli euro siano spesi in acquisti di beni e servizi.

Se le assegnazioni partissero dai disoccupati, dai lavoratori precari e dai pensionati che hanno assegni molto bassi, verrebbe coinvolto circa un terzo della popolazione italiana. Questa fascia di popolazione tenderà a liberarsi immediatamente dei Ccf, poiché non paga le tasse e quindi cercherà di spenderli per fare acquisti di beni e servizi. Per incentivare le imprese che producono e vendono tali beni e servizi ad accettare direttamente i Ccf si potrebbe pensare di assegnare loro una certa quota dei Certificati di credito fiscale in percentuale alle vendite proprio per premiare chi è disposto accettarli al posto degli euro.

Le imprese potrebbero esse stesse usare i Ccf per fare acquisti di beni intermedi e beni d’investimento da altre imprese e avrebbero la possibilità di avere a disposizione maggiori quantità di euro, che altrimenti dovrebbero usare per pagare le tasse. Allo stesso modo, il pagamento dei lavori pubblici potrebbe essere corrisposto in parte con i Ccf. Anche in questo caso sarebbe una decisione delle imprese se accettare di essere pagate con i certificati e, anche in questo caso, si potrebbe assegnare un premio in Ccf per incentivare le imprese ad accettarli come mezzo di pagamento. Dunque, le assegnazioni dei Ccf alle imprese andrebbero congegnate come dei “premi” per la loro volontà di accettarli direttamente in luogo degli euro, sia dai consumatori, sia dalle altre imprese, sia dallo Stato.

In tal modo, si ridurrebbero una serie di rischi che riguardano: 1) Il fatto che la conversione in euro non assicura automaticamente una domanda equivalente di beni e servizi. 2) L’entità dello sconto, che specialmente nella prima fase potrebbe essere elevato. 3) Il coinvolgimento delle banche, che potrebbero essere attaccate dall’Europa. 4) Il deficit di bilancia commerciale, perché verrebbe attivata principalmente la produzione interna realizzata da chi paga le tasse in Italia.

In questo approccio, dunque, i Ccf rappresenterebbero una manovra interna al nostro paese, che permetterebbe di rilanciare la domanda e la produzione, l’occupazione e gli investimenti delle imprese nazionali, senza avere alcun rapporto con l’estero per quel che riguarda gli aspetti finanziari (la conversione in euro). Per quanto riguarda il piano reale, e in particolare il rischio di un deficit commerciale, non è da escludere che il deficit possa crescere per le maggiori importazioni di energia, materie prime e beni d’investimento esteri necessari a sostenere la produzione interna. D’altra parte, l’espansione della produzione delle imprese nazionali permetterebbe di trainare la crescita della produttività del lavoro e farebbe aumentare la propensione a investire.

Se a questi effetti positivi si aggiunge l’assegnazione dei premi in Ccf alle imprese che accettano i certificati di credito come strumento di pagamento, il risultato finale sarebbe quello di rendere le nostre esportazioni più competitive, controbilanciando l’aumento delle importazioni. Dunque, la manovra con i Ccf può permettere di rilanciare la crescita dell’economia italiana in tempi brevi, condizione fondamentale per aumentare le entrate fiscali e quindi per realizzare una potente riduzione delle tasse, e può essere vista come il primo passo per riconquistare la sovranità monetaria e la capacità d’intervento dello Stato nazionale.

In prospettiva, questa manovra, qualora le cose in Europa tendessero a peggiorare sempre di più, può rappresentare l’inizio di un percorso per uscire dall’euro con la giusta preparazione, evitando il panico – fughe di capitali e corsa agli sportelli bancari – che potrebbe crearsi con azioni improvvisate in una situazione di pesante recessione.