In vista delle elezioni europee della primavera 2019 “gli scenari che si prefigurano non sono incoraggianti. Abbiamo visto affermarsi nelle elezioni nazionali, in molti paesi, forze politiche che non solo sono avversarie del progetto di Europa unita, ma che spesso aggiungono tratti marcati di xenofobia e nazionalismo, di rifiuto dell’altro. Queste forze stanno aumentando, anche in paesi che come l’Italia rappresentano il nucleo fondativo dell’Unione europea”. Lo ha detto Fausto Durante, coordinatore area Politiche europee e internazionali Cgil, aprendo la tavola rotonda su Europa. Immigrazione, quale futuro che si è tenuta nella seconda giornata del congresso Flai Cgil.

“Sono tendenze che dobbiamo contrastare con forza – ha proseguito Durante –, e dobbiamo impegnarci per sconfiggerle. Dobbiamo evitare che il fenomeno accentui la crisi della Ue fino a un livello irreversibile. Questi partiti e tendenze non sono alleati del mondo del lavoro, anzi spesso sono nostri duri avversari”. Negli ultimi anni, ha osservato il dirigente sindacale, “si è interrotto il processo virtuoso verso la convergenza e la codeterminazione europea”. Le politiche di austerity neoliberiste “anziché risolvere la crisi hanno accentuato le divergenze, e hanno scaricato le difficoltà sul mondo del lavoro”. Da qui “l’allontanamento dei cittadini rispetto al sogno dell’Europa, e il ritiro degli Stati in una dimensione nazionale”.

Per invertire la tendenza, “per salvare e rilanciare l’Europa – prosegue Durante – non basta e non serve dire ‘più Europa’, bisogna dire che vogliamo un’altra Europa, che vogliamo rinnovare i meccanismi di governance, e cambiare un’architettura istituzionale oggi tutta sbilanciata a favore di organismi non democratici, non eletti dai cittadini. Nella triade istituzionale europea l’unico strumento eletto dai cittadini, il Parlamento, è quello che ha meno potere di tutti. Questo deve cambiare, per riavvicinare cittadini e lavoratori alla Ue”. La Cgil “continuerà ad agire”, ha chiarito Durante, anche e soprattutto sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza, dei quali la confederazione ha fatto “l’asse portante, perché l’immigrazione è un elemento di crescita e sviluppo del sistema sociale ed economico”, e “non possiamo tornare a un’idea di chiusura”.

La platea congressuale ha poi ascoltato la testimonianza di Claudio Puoti, medico internista e infettivologo, che ha portato la sua storia di volontario nelle missioni umanitarie di Mare Nostrum. È “la storia di un uomo qualunque – ha raccontato Puoti – non particolarmente coraggioso, che un giorno si è trovato in una vicenda più grande di lui. Nel luglio 2013 mandai una mail alla Marina militare e mi offrii come volontario. Dopo dieci giorni mi sono ritrovato su una nave da guerra, ed è stata l’esperienza più assurda e terrificante della mia vita. Ho scritto giorno dopo giorno quello che ho visto, per non dimenticare quello che avevo visto, le storie delle donne violentate e degli uomini massacrati. Ho tenuto un diario di bordo che per quattro anni è rimasto chiuso in un cassetto. Ma la scorsa estate, dopo la vicenda della nave Diciotti, ho deciso di tirarlo fuori. L’ho pubblicato su Facebook e lo sto condividendo, anche nelle scuole”.

Puoti ha raccontato episodi sconvolgenti, come quello di una “ragazza forse somala o eritrea, scivolata nella notte sul fondo del barcone. L’hanno calpestata, ha ingerito acqua e gasolio. Abbiamo provato a rianimarla, ma il giorno dopo era morta. Chi era? Quale famiglia la aspettava? – si è chiesto il medico commuovendo i delegati –. Non lo sappiamo. Ora è sepolta a Malta, in una fossa comune alla Valletta”.

“La nave da guerra non è un ospedale: per la terapia c’è tutto, per la diagnostica non c’è nulla”, ha ricordato Puoti elencando le emergenze mediche che si è trovato ad affrontare: “Piaghe, vermi, ustioni. Di tutto. Ho dovuto estrarre persino un frammento di pallottola, anche se non sono chirurgo. È come la lista di Schindler: non puoi lasciare in mare nessuno. Li prendi tutti e cerchi di metterli dove capita”, ha concluso Puoti, ammettendo però che dopo nove missioni umanitarie “sto per ripartire, perché ti entra nel sangue”.

“Ci attendono grandi sfide. Purtroppo c’è una fortissima prevalenza di partiti nazionalisti e xenofobi. Il progetto europeo è a rischio”. Così Luca Visentini (segretario generale della Ces, il sindacato europeo) in un messaggio video al congresso della Flai. Visentini ha citato i dati di un sondaggio diffuso tra i sindacati europei, dal quale è emerso che “molti iscritti hanno votato per le forze xenofobe, un terzo circa dei lavoratori iscritti. Temiamo che questo accadrà anche alle elezioni europee 2019”.

Cosa può fare il sindacato?, si è chiesto Visentini: “Le regioni, le città, i territori, i posti di lavoro dove c’è una maggiore adesione a questi movimenti non sono le zone dove c’è maggiore presenza di immigrati: dunque la xenofobia è una scusa”, ha spiegato. Le tipologie delle persone catturate dalla xenofobia sono due: “Coloro che hanno conquistato nel tempo qualcosa e hanno paura di perderlo. Coloro che hanno già perso una prospettiva per il futuro, non hanno un lavoro decente, un salario adeguato, non hanno accesso alla casa, all’istruzione e alle protezioni sociali, e vivono in condizioni di precarietà”. Questi due elementi – ha spiegato il segretario generale Ces – “la paura di perdere qualcosa o aver perso tutto, non sono legati agli immigrati, ma al fatto che c’è stata la crisi. Tutto questo è la vera radice della situazione. Il sindacato deve quindi ripartire dai problemi reali dei lavoratori, dei disoccupati, dei giovani, dei pensionati. Dobbiamo farci carico dei problemi delle persone. Dimostrare che il movimento sindacale riesce a dare risposte concrete”. Visentini ha concluso dando appuntamento al congresso della Ces, che si terrà a Vienna nel maggio 2019, non casualmente “pochi giorni prima delle elezioni europee”, perché “vogliamo che il nostro congresso lanci un messaggio di speranza”.  

Laura De Bonfils, coordinatrice delle politiche sociali di Solidar, ha illustrato obiettivi e azioni della sua associazione, un network europeo di organizzazioni impegnate a promuovere la giustizia sociale in Europa e nel mondo. Dell’associazione, che ha la sua base a Bruxelles, fa parte anche la Cgil, che condivide con Solidar molti progetti, come ad esempio quello di una rete di sindacalisti e delegati europei che condividono strumenti e buone pratiche per affrontare l’immigrazione. “Nell’anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dobbiamo ripartire dalla solidarietà come valore fondamentale – ha detto De Bonfils –. Solidar fa molta attività di lobbying presso Parlamento e istituzioni europee. Una delle nostre iniziative è Welcome Europe, una petizione per offrire sostegno ai rifugiati e per non criminalizzarli. Abbiamo l’obiettivo di raggiungere un milione di firme. Un altro obiettivo è la riforma del regolamento di Dublino che impone l'esame delle richieste d'asilo dei migranti al primo paese di sbarco. Una riforma bloccata al Parlamento europeo”.

“Abbiamo perso di vista la persona. Viviamo una povertà culturale umana, che ci consente di rimanere indifferenti. Ma l’indifferenza è qualcosa di indegno”. Così padre Giovanni La Manna, rettore dell’istituto Massimo di Roma, per 11 anni membro del centro Astalli Jrs, il servizio dei padri gesuiti di accoglienza dei rifugiati, e inoltre componente della commissione territoriale per la richiesta di asilo politico su Roma. “Il pensiero di papa Francesco in materia di migranti non ha bisogno di commento alcuno – ha detto La Manna –, ed è un insegnamento per tutti noi. Quando lo invitai alla chiesa del Gesù, Francesco chiese ai religiosi di non trasformare le proprie comunità in luoghi di accoglienza per turisti, ma in luoghi di accoglienza per rifugiati. Quello che il papa chiede ai credenti è ben chiaro. Ma non è facile accogliere”.

“Non si tratta, però, di buonismo – prosegue La Manna –: io sono favorevole all’accoglienza perché è una questione di diritto e di giustizia. Solo per l’ignoranza di chi ci governa discutiamo ancora di accoglienza sì o no. Siamo tenuti a rispettare convenzioni internazionali che ci impegnano ad accogliere, non perché siamo buoni”.

“L’Europa era un sogno che abbiamo trasformato in un incubo: qualcosa di fallimentare, illudendoci che l’euro potesse rappresentare qualcosa che unisce, e abbiamo fallito anche sull’euro. Tutto questo ci impegna a una rilettura seria dell’esperienza fatta. Occorrono segni concreti. Io cosa posso fare? Io. Non la Caritas, non il governo. Dobbiamo svegliare le coscienze. Non è più tempo di delegare ad altri. Solo così chi pensa di vivere alzando muri si sentirà fuori luogo. Nessuno di noi, ormai, può dire di non sapere”, ha concluso padre La Manna.

Segni concreti sono senza dubbio quelli illustrati da Paolo Naso, docente di scienze politiche alla Sapienza di Roma, che ha raccontato l’esperienza dei “Corridoi umanitari” per i migranti, che ha permesso di portare in Italia oltre mille persone senza traversate nell’illegalità e nel terrore, ma grazie a viaggi aerei. “Il progetto – ha spiegato Naso – è stato organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche, dalla Comunità di Sant’Egidio e da Tavola valdese. In seguito si è aggiunta la Cei. È nato proprio perché mancano vie legali alla migrazione. Tutto nasce dal 3 ottobre 2013, giorno fatidico del naufragio di Lampedusa, nel quale persero la vita 368 persone. Quel giorno è cambiata la nostra coscienza. I morti di Lampedusa li abbiamo visti tutti. Lì è nato il progetto dei Corridoi umanitari. Ci siamo messi al lavoro e abbiamo cercato il baco del sistema: l’abbiamo trovato nel trattato di applicazione di Schengen sui visti: in particolare all’articolo 25”.

Una volta appurato che “uno Stato può concedere visti umanitari a chi richiede accoglienza – prosegue Naso – abbiamo negoziato col governo Renzi e abbiamo ottenuto un via libera di massima, avviando un esperimento concreto, ottenendo mille visti nel primo anno di attività. E così è cominciata questa grande avventura, tecnica prima che politica”. Si tratta di persone “arrivate in Italia con la valigia. Non scalze o con la pelle che brucia di benzina e di acqua salmastra. Le persone dei ‘Corridoi’ vengono accompagnate in un percorso di integrazione: non è assimilazione, è un meccanismo sano in cui la comunità accogliente si mette in relazione con gli immigrati”, ha proseguito Naso. Il modello poi si è esteso a Francia e Belgio. E “proprio oggi – ha ricordato il docente universitario con soddisfazione – il Parlamento europeo ha votato un ordine del giorno a favore dei visti umanitari”.

Naso ha poi parlato di un nuovo progetto, “Spartacus”, che mira a “svuotare” il campo profughi di San Ferdinando di Puglia, un “tumore sociale” dove vivono in condizioni inaccettabili 2.500 uomini e donne, tra Aids e prostituzione, tra violenza e penuria igienico-sanitaria. “Spartacus”, per Naso, “nasce dall’idea eroica di uno sforzo della società civile: liberare in modo volontaristico il campo di San Ferdinando costruendo percorsi alternativi di integrazione. È un simbolo. Ma è a partire dai simboli che si costruisce il cambiamento”, ha concluso il docente.