Abbiamo chiesto al prof. Alberto Marinelli, ordinario di Teoria e Tecniche dei Nuovi Media all’Università “La Sapienza” di Roma di aiutarci a comprendere meglio l’evoluzione delle reti sociali. Dalla condivisione di informazioni attraverso i media tradizionali, alla totale convergenza di testi, video e suoni sugli schermi di computer e palmari.

Il Mese Professore, da dove trae origine il fenomeno dei social network?

Marinelli I social network non nascono di colpo. E’ la matrice stessa della rete ad essere sociale. I forum di discussione esistevano già prima della nascita del world wide web: le persone si trovavano in rete per condividere emozioni, idee o problemi. I social network come Facebook utilizzano questo bisogno in modo intelligente. Sulla bacheca che si dipana sotto i nostri occhi, sul muro dove condividiamo i nostri stati d’animo, vediamo comparire le espressioni di coloro che fanno parte del nostro gruppo in una dimensione dinamica, gestita sulla base del tempo. Questa forse è l'innovazione più bella e interessante dei social network che frequentiamo. Su Facebook possiamo dipanare in tempo reale tutto ciò che fanno i nostri amici, oltre a interagire con gli articoli, le foto, gli audiovisivi che ci suggeriscono. Quello che una volta conoscevamo come web, youtube o altro, rientra nei social network sotto forma di segnalazione di rimando, di empatia che in quel momento le persone dichiarano di avere con un particolare testo, brano musicale, idea, sensazione. Questa è la chiave di successo dei social network: la costruzione di un discorso collettivo e coinvolgente.

Il Mese Il mezzo radiofonico può essere considerato un precursore dei social network?

Marinelli La radio ha sempre avuto la funzione di aggregare identità, comunità, profili. Le affinità tra i suoi utenti vanno dalle preferenze musicali fino a dimensioni più profonde e coinvolgenti, anche di tipo partecipativo. Il mezzo radiofonico si è sempre caratterizzato per la suo ospitalità: è nato come medium broadcasting, quindi monodirezionale, ma le sue trasmissioni si sono distinte presto per la capacità di interagire con gli ascoltatori.
La dimensione identitaria di condivisione e la partecipazione, attraverso una tecnologia classica come il telefono, sono requisiti contenuti nel DNA della radio e possono essere entrambi valorizzati, riscritti e ritematizzati attraverso i social network.
La prima attiene alla logica dell’engagement, il coinvolgimento emotivo, affettivo prima che intellettivo, nei confronti di un gruppo, di una comunità, di un’occasione, di un evento. Da questo punto di vista, radio e social network possono essere considerate due forme comunicative accostabili.
La seconda dimensione è ovviamente legata a ciò a cui si può dare luogo in tempo reale. Le analisi rivelano che sempre più persone, mentre ascoltano la radio o guardano la tv, condividono contemporaneamente la propria esperienza mediale sui social network. Si tratta di una pratica che può essere lasciata alla spontanea attivazione dei singoli soggetti, ma può essere anche indotta, stimolata e suscitata in maniera più o meno intelligente e partecipativa da parte di chi gestisce rubriche e trasmissioni sui media tradizionali.
Ancora più interessante è il ruolo che potrà ritagliarsi un sistema di micro blogging come Twitter, sicuramente meno orientato all'espressione dell'individualità e più rilevante rispetto al commento in diretta di quel che accade.
Pensiamo a tutti gli usi di comunicazione, non solo politica, ma anche istituzionale, o di dibattito pubblico in cui si sperimenta l’uso di Twitter. Si tratta di una prassi che permette alle persone di reagire in diretta, di scambiarsi le informazioni, condividerle e rilanciarle.
Negli anni Novanta chiamavamo questo fenomeno intelligenza collettiva. Allora credevamo che fenomeni di questo tipo riuscissero a cambiare il mondo e a orientarlo verso una direzione differente. Adesso siamo più rassegnati e cauti rispetto all'efficacia di questi eventi, ma sappiamo anche che sono esperienze che le persone ritengono significative.

Il Mese Da questo punto di vista, i social network possono essere considerati un nuovo “medium”?

Marinelli Medium è una parola che, dal punto di vista teorico, ci ha salvato fino a poco tempo fa. Adesso per effetto del processo di convergenza è un'espressione che tende a essere una camicia di forza. Negli ultimi mesi ho lavorato sul concetto di trasformazione della televisione: è evidente che se osservo il mezzo con l'ottica del medium televisivo riesco a capire poco della sua ibridazione con le tecnologie di rete, e delle tendenze che caratterizzeranno la sua evoluzione futura.
Alla stessa maniera ho sempre rifiutato di classificare internet come una sorta di meta medium (anche questa è una suggestione che a metà degli anni Novanta andava forte). Perché se lo identifico come medium non riuscirò a capirne l'evoluzione.
Lo stesso vale per i social network come Facebook. Quest’ultimo potremmo definirlo un medium di comunicazione interpersonale, dove, in tempo reale, coesistono forme espressive di tipo testuale, audio e video. Con il passare del tempo Facebook si è rivelato un valido sistema di pubblicazione: questo perché il nostro network relazionale filtra con una certa competenza il nostro accesso alle notizie.
Avremo delle persone di cui ci fidiamo che ci terranno informati sulle novità musicali, quelle di cui ci fidiamo rispetto alla politica e che fungeranno da gatekeeper per questo argomento. Avremo alcuni che ci relazioneranno sul calcio, altri sulle tecnologie. Potremmo giocare questo ruolo all'infinito e allo stesso modo improvvisarci commentatori o selezionatore intelligente per altri utenti.
L'attenzione al medium è importante, ma rischia di farci perdere l'evoluzione. Quindi dobbiamo costantemente oscillare tra questa attenzione alla struttura, alle caratteristiche formali dell'ambiente mediale e alla continua evoluzione a cui questo ambiente, in epoca digitale, è sottoposto in virtù dei processi di convergenza.

Il Mese Quali sono gli effetti dei social network nella nostra vita pubblica?

Marinelli In Italia, negli ultimi mesi abbiamo avuto degli esempi da manuale su cui occorre riflettere. Ne cito soltanto uno da Facebook: quel meraviglioso gruppo che si chiama “E' tutta colpa di Pisapia”. Uno straordinario fenomeno per cui migliaia di persone, in tempo reale, ironizzavano sulla propria dimensione di partecipazione politica, di coinvolgimento e di sostegno alla battaglia combattuta da Giuliano Pisapia per diventare sindaco di Milano. Si tratta di un caso estremamente significativo per la leggerezza che ha distinto gli interventi di utenti ironici, cinici, cattivi, ma nello stesso tempo profondi, capaci di dare una lettura della realtà sociale. Il fatto che in tanti abbiano compiuto un così grande sforzo creativo è un esempio straordinariamente importante di come si possano trovare nuove forme di coinvolgimento e partecipazione politica. Una bella forma di user generated content che, nel caso di Pisapia, ha dato vita a espressioni al limite tra il giocoso e il divertito che hanno prodotto risultati politici considerevoli.

Il Mese Professore, da qualche tempo lei ripete ai suoi studenti che il web è morto. Perché?

Marinelli Il web è composto da pagine, nasce per inscatolarne una miriade. Però sappiamo anche che le persone stanno davanti a uno schermo soprattutto per vedere e sentire. Il web è morto perché da un lato trionfa l’audiovisivo, riprendendosi lo spazio che apparentemente la pagina gli aveva sottratto, ma soprattutto a decretare la morte del world wide web è l’esistenza delle app, le applicazioni dei cellulari e dei tablet, che hanno scomposto il web, avvicinandolo maggiormente alle esigenze delle persone. Una nuova pratica che evita di compiere l’operazione folle di aprire un browser, digitare un url, andare a un indirizzo e muoversi rispetto a questo. Pensiamo alla genialità delle prime app distribuite dalla Apple: il mio obiettivo è “cinema”? Apro la app “cinema” e trovo subito gli spettacoli, la community di riferimento, le recensioni, le sale più vicine a me, quanto costa e, se voglio, compro anche il biglietto. Le app mi procurano una risposta aggregata rispetto a una serie di contenuti che il web mi fornisce separatamente. Fino ad adesso siamo stati costretti a operare nel modo che Microsoft ci aveva imposto nel 1995, un meccanismo legato all’abitudine sociale di stare sempre davanti a un computer. Oggi la frammentazione delle modalità di accesso alla rete ha infranto questo sistema di consultazione.
Non tocco i problemi legati alla gratuità della rete. E’ evidente che il web libero e gratuito che conosciamo è qualcosa che probabilmente nel giro di qualche tempo sarà alle nostre spalle. Dovremo trovare delle maniere intelligenti per pagare meno e godere tutti quanti degli stessi vantaggi che il web libero ci ha fin qui offerto.