Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Niente meglio dell’aforisma di Marcel Proust riesce a fotografare il senso della campagna nazionale della Cgil “Legalità: una svolta per tutte”, che ieri (19 febbraio) ha celebrato la sua conclusione con una manifestazione-evento che si è tenuta a Roma alla Casa del Jazz, alla presenza tra gli altri della segretaria confederale Gianna Fracassi e della leader nazionale Susanna Camusso.

Perché alla fine del suo viaggio lungo l’intera penisola, fatto di incontri non convenzionali e di fermate nel cuore di quelle zone nere (e a volte anche grigie) dell’economia del nostro paese che più di altre hanno trovato alimento dalla crisi – le fabbriche al centro di processi di esternalizzazione, i campi ostaggio dei caporali, i porti spesso in balìa di interessi poco trasparenti – il sindacato di corso d’Italia si è dotato di uno sguardo più acuto e, allo stesso tempo, più consapevole nei riguardi di quelle attività illecite che – come la corruzione e il ricorso agli appalti truccati – compongono il fatturato e gli utili della criminalità organizzata.

Partita lo scorso 27 ottobre da Milano (scelta ovviamente non casuale, perché giunta a pochi mesi dagli arresti effettuati nel capoluogo lombardo per i lavori dell’Expo 2015), l’iniziativa della Cgil – preceduta di due anni esatti da un’altra importante campagna, quella sui temi della legalità economica – ha trovato la sua ragion d’essere nella convinzione che “la legalità è un’urgenza”, una garanzia che, come recita il bellissimo claim scelto dai suoi promotori, “non vuole promesse disattese”.

Un’urgenza e una garanzia che si sostanziano in numeri che definire preoccupanti sarebbe un eufemismo: i fenomeni illegali costituiscono un serio impedimento alla crescita della nostra economia, oltre che una pesante zavorra per il futuro delle nuove generazioni. Nel dettaglio, la corruzione costa 60 miliardi di euro l’anno, l’evasione 135, mentre il fatturato complessivo delle mafie è ormai vicino ai 200 miliardi. Una torta di circa 400 miliardi, secondo le più recenti stime della Cgil, che qualora immessi nel circuito legale “rappresenterebbero il volano di cui l’Italia ha bisogno per affrontare e risolvere il binomio crisi e sviluppo”.

Ma soprattutto la campagna per la legalità – che con la manifestazione del 19 ha registrato la chiusura solo formale di una tappa del più generale impegno in favore della trasparenza e contro il malcostume – si intreccia alla grande campagna per il lavoro, perché è vero che a ogni proposta sull'occupazione la domanda più ricorrente verte sul reperimento delle risorse, ma è altrettanto vero che se si agisse sul terreno della lotta all’evasione fiscale e ai comportamenti illegali – a cominciare da quelli che foraggiano l’economia sommersa – le risorse per gli investimenti si troverebbero.

Senza dimenticare l’enorme stuolo di uomini e donne che lavorano nel campo degli appalti, i non meno numerosi addetti alle pulizie degli ospedali e delle scuole, la miriade di persone impegnate nelle ditte che effettuano la manutenzione degli impianti industriali. È lo sterminato esercito degli invisibili. È su di loro che solitamente si scaricano i ribassi con i quali si vincono le gare. Stesso lavoro, metà retribuzione. Un vergognoso stato di cose, indegno di un paese che si autodefinisce una grande democrazia industriale, e a cui il governo ha finora dato risposte del tutto insoddisfacenti, quando non addirittura peggiorative dello status quo, a cominciare da alcune delle misure più controverse contenute nel Jobs Act.