All’insegna dello slogan “Istruzione, lavoro, democrazia: i diritti non si riducono, si ampliano”, 2.435 delegati (58% uomini, 42% donne) provenienti dai 27 Stati che compongono la Repubblica federale del Brasile, in rappresentanza dei quasi 8 milioni di affiliati, hanno dato vita nei giorni scorsi, presso il centro congressi Anhembi di San Paolo, al 12° Congresso della più grande centrale sindacale delle Americhe, la Cut del Brasile.

Il congresso si è tenuto in una particolare congiuntura politica, economica e sociale che rischia di minare il processo di democratizzazione del paese, di inclusione sociale e di ridistribuzione della ricchezza, avviato dal primo governo Lula nel 2002. La crescita economica si è fermata, la disoccupazione è passata in poco meno di un anno dal 4,6 all’8,5%, i tassi di interesse sono raddoppiati dal 7,25 al 14,25%, l’inflazione si è avvicinata alle due cifre, passando dal 6 al 9% in poco più di un semestre.

Il secondo governo di Dilma Rousseff, insediatosi nel novembre scorso, non potendo contare su un’autonoma maggioranza parlamentare (il Pt, Partido dos trabalhadores, rappresenta solamente il 12% dei seggi parlamentari), deve procedere con mediazioni e alleanze che, secondo la Cut, sviano e sviliscono il mandato dei 54 milioni di brasiliani che alle ultime elezioni hanno rinnovato la fiducia al progetto democratico e popolare del partito stesso. I progetti di politica economica tendono a ridurre i diritti, con la precarizzazione nel mercato del lavoro e con esternalizzazioni, privatizzazioni e tagli alla spesa sociale e all’educazione.

A questa crisi economica si somma l’attacco frontale dei poteri forti alla presidente Rousseff, con l’obiettivo di destituirla e di bruciare il possibile ritorno di Lula alla guida del paese, ristabilendo il dominio storico dell’élite latifondista e finanziaria sul governo del paese. Va detto che in America Latina persiste la pesante eredità lasciata dall’esperienza coloniale. Nel caso del Brasile, il lascito della colonizzazione portoghese sulla proprietà della terra ha fatto sì che essa sia in gran parte rimasta nelle mani di una ristretta élite di famiglie discendenti dal sistema coloniale o a esso direttamente collegate.

Ciò ha dato vita, sin dalla formazione delle nuove repubbliche indipendenti, a un sistema oligarchico latifondista che, nel corso dei secoli, ha consolidato, in modo esclusivo, un potere economico e un controllo sociale  superiore ed esterno al sistema politico, condizionando, frenando, rallentando il processo di modernizzazione e di democratizzazione di queste società. “La piena democrazia – sostiene la Cut – non è stata ancora raggiunta in modo effettivo. Se nel passato le elezioni erano esclusività dei soli uomini, bianchi e proprietari, oggi, grazie al finanziamento privato, i politici eletti continuano a essere, maggiormente, maschi, bianchi e imprenditori”.

Un sistema di potere che convive con il sistema democratico e che, quando si sente minacciato, produce le reazioni che hanno fatto la storia dell’America Latina; colpi di stato, assassinii di dirigenti e attivisti, corruzione della giustizia, linciaggio mediatico. È in questo contesto storico e politico che si colloca l’attacco del sistema dell’informazione contro la presidente Rousseff e contro i dirigenti politici, sindacali, sociali che oggi rappresentano un pericolo, non più sopportabile, per il vecchio sistema di potere feudale che persiste in Brasile.

Già nel corso del 2014, le forze reazionarie del paese hanno spinto e cavalcato le proteste popolari di piazza, fino a mettere in discussione la possibilità di realizzare il campionato mondiale di calcio, per mancanza di sicurezza nel paese, con l’obiettivo di demolire l’immagine del governo e vincere le elezioni. Ma nonostante la grande campagna mediatica avversa e l’effetto negativo di ripetuti scandali e di episodi di corruzione, Rousseff ha vinto il secondo turno. Per le forze conservatrici, allora, è iniziato “il terzo turno”, ossia, l’attacco con ogni mezzo disponibile per non permettere a Dilma Rousseff di governare, tanto da arrivare alla richiesta di “impeachment” e di destituzione.

È in questo contesto che si è svolto il 12° congresso della Cut, nel corso dei cui lavori Dilma Rousseff ha detto apertamente, per la prima volta in pubblico, che il paese sta vivendo una forte crisi democratica, con un vero e proprio tentativo di golpe delle opposizioni politiche per via giudiziaria. All’appassionato discorso di Dilma, che ha anche in parte riconosciuto la fondatezza di alcune critiche del sindacato, hanno fatto seguito l’intervento del presidente della Cut Vagner Freitas e l’atteso discorso di Lula. Per l’ex presidente del Brasile ed ex leader sindacale, si deve riprendere a difendere gli interessi del paese, tassare le ricchezze, investire nella produzione per il consumo interno e nell'istruzione, sostenere il credito per le piccole e medie imprese.

Sul versante specifico dei lavori congressuali, i delegati presenti alle assise di San Paolo hanno affrontato importanti decisioni, come la modifica statutaria che porta alla parità di genere in ogni organismo di direzione dell’organizzazione. Mentre sul piano della piattaforma sindacale, fatto salvo l’impegno e la vigilanza per la difesa della democrazia e del voto popolare, l’agenda della Cut che emerge dal Congresso è particolarmente ambiziosa. L’impegno della Centrale sarà principalmente rivolto alla difesa dell’occupazione e del lavoro dignitoso, contrastando con tutte le forze il progetto di “terceirizaçao” del mercato del lavoro; a rilanciare l’occupazione e il consumo attraverso l’abbassamento del costo del denaro; al contrasto al piano di tagli al sistema sociale, come la forte riduzione (meno 30%) del finanziamento al programma di edilizia popolare e il blocco dei salari nel pubblico impiego; al piano di riforme strutturali del paese, a partire dalla riforma del sistema fiscale, del sistema giudiziario, del sistema dei mezzi di comunicazione, della riforma agraria; al sostegno del progetto di Assemblea costituente popolare per riformare il sistema istituzionale.