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“Sarà un autunno molto complicato. Il governo è impegnato in una serie di provvedimenti che cambieranno in peggio le condizioni materiali delle persone. E non si vede nessuna misura che abbia carattere di contrasto alla crisi né investimenti che possano, in tempi brevi, dare una risposta vera all’occupazione”. Così oggi Serena Sorrentino, segretaria confederale Cgil, in un’intervista a RadioArticolo1 – nello spazio di “Italia parla”, qui il podcast – sulle politiche del governo Renzi. Politiche, sostiene la dirigente di Corso d’Italia, fatte di annunci – annunci continui – che fanno prevedere una serie di tagli riguardanti il lavoro e i servizi alle persone – si pensi alla pubblica amministrazione –, una ulteriore precarizzazione del lavoro, come mostrano le prime prove di applicazione del decreto Poletti, un ulteriore indebolimento dei diritti, come si evince dalla discussione in Senato intorno al Jobs Act. E questo in un quadro che il perdurare della crisi rende assai complicato.
“Se guardiamo ai dati dell’occupazione – ricorda Sorrentino – l’ultima tendenza positiva l’abbiamo verificata nel 2008. Dal 2009 in poi, invece, abbiamo subìto la diminuzione degli occupati, l’aumento della disoccupazione, un allargamento dei settori di occupazione a basso reddito e, soprattutto, dei settori che impegnano i lavoratori per poche ore. Con un lavoro, quindi, sempre più frammentato, sempre più segmentato, perlopiù in settori che non hanno un alto valore aggiunto”. A soffrire, quindi, non è stata solo la quantità della produzione industriale – “abbiamo perso il 25 per cento” –, ma anche la qualità delle attività sopravvissute in questi anni. “Per investire in settori ad alta competitività e che guardino all’innovazione ci vuole un vero piano straordinario per il lavoro. Il paese non può uscire dalla deflazione e dalla stagnazione ancora e sempre con misure di svalutazione competitiva del lavoro. Continuiamo a chiedere perciò un cambio di registro della politica economica europea, politiche di investimento nell’occupazione e nella crescita. Ma, se si vuole essere coerenti e cambiare le politiche in Europa, bisogna cambiare verso e segno alle politiche economiche anche in Italia”.
Il cambiamento di segno deve riguardare anche, è uno dei temi del momento, la pubblica amministrazione. Il combinato disposto del blocco dei contratti e degli annunciati tagli lineari – afferma Sorrentino – ci riporta al passato. Se si vuole fare una vera e seria riforma della pubblica amministrazione bisogna partire da alcuni dati di sostanza. Innanzitutto l’obiettivo di una maggiore qualità dei servizi per i cittadini, cosa che equivale a una diversa organizzazione del lavoro. Per una diversa organizzazione del lavoro c’è bisogno però del contratto e della contrattazione. “Il blocco dei contratti, quindi, è di per sé un ostacolo a una riforma seria e strutturale della Pa”.
Ma non è solo il blocco dei contratti che fa storcere il naso alla Cgil. È tutta la filosofia che s’intravvede dietro la riforma a non convincere Corso d’Italia. “Avremmo bisogno di capire qual è l’orientamento – osserva Sorrentino –. Nel decreto legge 90 sono presenti misure che guardano molto al lavoro e pochissimo invece agli interventi necessari a una riforma della Pa”. “I servizi pubblici – prosegue la segretaria Cgil – hanno anche una funzione anticiclica. Investire nella riorganizzazione del pubblico, quindi, potrebbe da un lato determinare un effetto positivo sulla crescita migliorando la qualità dei servizi alle persone e le imprese, dall’altro sostenere anche l’occupazione”. Riaprire le assunzioni e operare un serio rinnovamento “anche attraverso un piano straordinario della formazione e della riqualificazione dei dipendenti”: queste le cose da fare. Se non ci sono questi elementi, fondamentali, è difficile pensare a una vera riforma. Di una riforma che in realtà si preannuncia semplicemente come “l’ennesima operazione che punta a ridurre i costi e una spesa pubblica che nel nostro paese, ricordiamo, è la più bassa d’Europa”.
La Cgil è impegnata in questi giorni nella campagna intitolata “Riformo io. Per una pubblica amministrazione al servizio dei cittadini”. Il primo obiettivo è tornare a un confronto con l’esecutivo, allora?
“Il governo – risponde la segretaria confederale – è andato verso la ‘rilegificazione’ del rapporto di lavoro, cosa che implica una serie di conseguenze, ad esempio il fatto che sia la politica, a questo punto, a decidere in quale direzione deve andare il lavoro pubblico. Noi invece riteniamo che il contratto, la contrattazione, rappresentino una conquista dei lavoratori che va assolutamente preservata, salvaguardata e rinnovata”.
La Cgil ha lanciato una campagna che prova ad aprire uno spazio di discussione con i cittadini e le comunità locali: una campagna in cui si prova a ricostruire quello che dovrebbe essere il perimetro di intervento della pubblica amministrazione per migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e, insieme, la qualità dei servizi pubblici alle imprese: per fare in modo che la Pa non rappresenti semplicemente un costo ma uno dei fattori fondamentali di contesto per la competitività dei sistemi territoriali e, soprattutto, garanzia di benessere e sviluppo del paese. “Non si può affrontare la discussione sulla riforma della Pa assumendo invece come tema prioritario le compatibilità economiche e finanziarie”. Certo, l’Italia soffre le difficoltà derivanti dalla crisi e dal fiscal compact. “È tuttavia possibile orientare risorse verso gli investimenti là dove servono. E il pubblico è sicuramente tra questi settori”.
Un’altra riforma è quella del lavoro. La Cgil ha presentato una denuncia alla Commissione europea sulla legge 78, che ha eliminato l’obbligo di indicare la causale nei contratti a termine. C’è già un seguito?
“Stiamo monitorando intanto cosa succede – chiarisce Sorrentino –. Qualche giorno fa il ministero ha pubblicato i dati delle comunicazioni obbligatorie riferibili al secondo trimestre. Questi dati ci dicono che la tendenza del trimestre nel quale è stato approvato il decreto Poletti dimostra, come sosteneva la Cgil, che c’è uno spostamento dalle attivazioni dei contratti a tempo indeterminato verso i contratti a termine: contratti che continuano a crescere e continuano a essere la forma prevalente di nuova assunzione. Questo contro il principio su cui si fonda invece la disciplina europea, secondo cui la forma comune di rapporto contrattuale deve essere appunto quella a tempo indeterminato”.
“Sul tema della causale – continua la segretaria Cgil – stiamo seguendo già alcuni casi. La cancellazione della causale sta determinando un accorciamento dei rapporti di lavoro. Anche su questo le comunicazioni obbligatorie ci dicono che prosegue il trend che era già stato messo in luce nel primo trimestre, ci sono oltre 400mila contratti che sono durati un solo giorno, aumenta la quota di contratti che durano fino a quattro giorni, aumentano in maniera considerevole, 200mila in più rispetto al trimestre precedente, i contratti durati solo un mese. Il fatto che un contratto che abbia già avuto cinque proroghe possa essere ulteriormente prorogato dopo i 36 mesi con il semplice cambio della mansione e quindi riaprendo la procedura dei 36 mesi per uno stesso lavoratore, modificherà sostanzialmente il mercato del lavoro”. “Da un lato, dunque, stiamo aspettando che la Commissione prenda in esame il nostro ricorso, ma dall’altro stiamo iniziando a lavorare anche con i nostri uffici vertenze affinché si possa in qualche modo far venir fuori quella che è la condizione reale dei rapporti di lavoro dopo il decreto Poletti”.
Il prossimo 23 settembre approderà in aula il Jobs Act, il disegno di legge delega sul lavoro, che dovrebbe disciplinare anche tutta la materia dei contratti. Quale sarà l’effetto di queste due misure insieme?
“Intanto c’è un problema sostanziale: nel Jobs Act ci dovrebbe essere la riforma e il codice semplificato del lavoro con la revisione delle forme contrattuali attualmente esistenti. Rispetto ai primi annunci, e cioè la volontà di attuare il cosiddetto contratto a tutele crescenti che doveva limitare il ricorso alla precarietà facendo pulizia fra le oltre 40 forme contrattuali, vediamo invece, almeno nella discussione in Senato, che non è ancora chiaro quale possa essere il perimetro d’intervento di una eventuale forma di contrattualizzazione a tutele progressive. Se questa nuova forma contrattuale si aggiungesse infatti a quelle esistenti non cambieremmo nella sostanza la condizione nella quale le persone lavorano. Non solo, ma l’introduzione di una forma sperimentale di contratto a tutele crescenti sarebbe assolutamente inefficace dopo l’avvento del decreto Poletti, perché i contratti a termine, senza causale, prorogabili, rinnovabili, senza limiti e oltretutto a bassissimo contenzioso, sarebbero sicuramente più competitivi di una forma contrattuale che ha la tendenza verso il contratto a tempo indeterminato. Da qui i segnali che arrivano in queste ore dal governo, l’ipotesi di combinare l’eventuale introduzione di una nuova forma contrattuale con degli incentivi che spingano le imprese a orientarsi in questo senso”.
“La soluzione – aggiunge Sorrentino – in realtà è semplice: basterebbe non attuare il decreto Poletti e cogliere l’occasione del codice semplificato del lavoro per razionalizzare le forme contrattuali esistenti. Bastano poche forme: il contratto a tempo indeterminato, il contratto a termine, la somministrazione, lo stagionale, una forma di lavoro autonoma, e avremmo risolto, probabilmente, gran parte dei problemi. Daremmo ai lavoratori qualche certezza in più, disboscando nel contempo questa ‘selva selvaggia’ che è il mercato del lavoro nel nostro paese, che rimane uno di quelli più flessibili in Europa”.
Per finire, la questione dei costi. Si ipotizza di fare la riforma del lavoro, degli ammortizzatori sociali, così come quella dei congedi parentali, a costo zero: il principio su cui si basa il Jobs Act è che deve essere senza oneri a carico dello Stato. Ma se l’indirizzo è ad esempio estendere le coperture per gli ammortizzatori sociali o garantire l’universalità della maternità, è possibile tutto questo a risorse invariate? La realtà è che si sta andando verso una riduzione generalizzata dei diritti dei lavoratori. “Lavoreremo perché il Jobs Act sia l’occasione da un lato per invertire la tendenza e ridurre la precarietà dei rapporti di lavoro nel nostro paese – promette Sorrentino –; dall’altro per una riforma sia degli ammortizzatori sociali e della maternità in senso universale: per estendere questi diritti a una platea più ampia dei lavoratori oggi tutelati”.