“In Italia la scelta del nucleare è strettamene legata a interessi non propriamente umanitari, come è già il caso del ponte sullo Stretto di Messina, voluto dall’attuale presidente del Consiglio. Del nucleare sono entusiasti gli esponenti delle lobby politico-finanziarie che, ovviamente, non tengono conto del destino del paese e in particolare delle future generazioni”. Danilo Zolo – già professore di Filosofia del diritto internazionale a Firenze e studioso della democrazia e della globalizzazione – è assai duro sulle politiche energetiche del nostro governo, anche se nel corso di questa conversazione non sembra essere d’accordo con chi, dietro alla scelta del tipo di energia da produrre, intravede una precisa idea di società e convivenza civile. Ma andiamo con ordine.

“È altamente probabile – come nel caso dello Stretto di Messina – che la mafia sia ampiamente coinvolta. Dovrebbe rendersene conto l’autorevole oncologo Umberto Veronesi che è stato nominato, non si sa perché, presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. L’oncologo Veronesi si attribuisce competenza e autorità nel settore, schierandosi senza il minimo dubbio a favore della costruzione di centrali nucleari in Italia. A suo (discutibilissimo) parere ‘il nucleare è una fonte non inquinante e sicura dal punto di vista degli effetti sulla salute’, come ha scritto qualche tempo fa su la Repubblica. E pertanto l’opposizione al nucleare non è altro che il frutto di ‘fobie popolari, timori irrazionali e di antichi retaggi storici’: è il panico ‘di primitivi spaventati dal fuoco’. Per fortuna ci sono anche in Italia alcune persone colte e intelligenti come il premio Nobel Carlo Rubbia, notoriamente favorevole al ricorso alle energie rinnovabili. Rubbia ha ironicamente invitato Veronesi ad andare a vedere di persona che cosa è successo di recente in Giappone. Fukushima, assieme a centinaia di cadaveri radioattivi, aspetta con ansia il celebre oncologo italiano… ".

Il Mese Non crede che la scelta pro o contro il nucleare disegni un particolare modello di società? Che tipo di società si delinea in questo modo?

Zolo Non so pronunciarmi circa il “modello di società” che l’uso di impianti nucleari potrebbe imporre al nostro paese. Se tento di riferirmi a un modello straniero, penso essenzialmente alla Francia che è assediata da decine di centrali nucleari. Non mi sembra che in questo caso si possa parlare di una società centralizzata e militarizzata perché condizionata dalle centrali nucleari. I problemi, da questo punto di vista, sono ben altri, come del resto prova la politica conservatrice e pseudo-colonialista del presidente Sarkozy. La mia opinione di massima è che nel contesto della globalizzazione il modello di ciascuna società nazionale dipende da una serie di condizioni molto complesse, che riguardano la distribuzione globale della ricchezza, il potere economico-finanziario, la potenza e l’uso delle armi, gli strumenti comunicativi, le strutture politiche e giuridiche, il disastro ecologico. Suggerirei per una comprensione della società italiana i testi di Luciano Gallino, che considero uno dei sociologi italiani più lucidi e rigorosi: basterebbe leggere, ad esempio, il suo Globalizzazione e disuguaglianze.

Il Mese Marco Pannella ha sostenuto che l’energia nucleare si porta dietro una società centralizzata e al limite militarizzata: lei è d’accordo con questa idea?

Zolo No, non sono d’accordo con Marco Pannella, e del resto lo sono di rado. A mio modesto parere la produzione di energia nucleare non può che avere un’influenza molto limitata dal punto di vista della struttura sociale di un paese. Ciò che a mio parere conta per l’opinione pubblica e per la reazione della maggioranza dei cittadini è la paura di fronte al rischio nucleare. La paura è assolutamente centrale. Centrale è l’insicurezza percepita da chi si trova a vivere in un ambiente esposto ai pericoli della produzione nucleare, senza dimenticare il gravissimo problema delle scorie radioattive. Qualsiasi centrale nucleare produce scorie che solo in minima parte si diffondono nell’ambiente senza produrre danni. Per il resto le scorie emettono radiazioni fortemente radioattive e lo fanno per tempi lunghissimi. Viviamo in una società già attanagliata da un profondo senso di insicurezza dovuto alla crisi globale dell’economia, alla precarietà del lavoro, alla presenza crescente di lavoratori “migranti”, al cinismo della classe politica, al separatismo e al razzismo di movimenti politici come la Lega. In questo contesto la percezione del rischio della radioattività non può che avere come effetto la moltiplicazione della paura e, quindi, un’ulteriore dissociazione sociale, una perdita del senso di appartenenza collettiva, di solidarietà, di assistenza reciproca. Nessuna centralizzazione e nessuna militarizzazione sono pensabili se non all’insegna di un regime populista e postdemocratico.

Il Mese Sul piano geopolitico la necessità di ricorrere al nucleare è stata più volte giustificata con l’esigenza di non dipendere da paesi ricchi di alcune materie prime. Il nucleare renderebbe dunque più “libere” le diverse comunità nazionali. Cosa ne pensa di questo assunto?

Zolo Si tratta a mio parere di un assunto di scarso rilievo. La subordinazione di un paese ad altri paesi più ricchi può dipendere dal nucleare solo in minima parte. L’Italia, ad esempio, dipende sotto moltissimi punti di vista dagli Stati Uniti d’America, ma certamente non perché priva del nucleare. D’altra parte questo tipo di subordinazione ha un qualche senso solo nel rapporto fra paesi ricchi. Un alto numero di paesi del mondo vivono in grave povertà e non sono certo in grado di provvedersi di centrali nucleari.

Il Mese Alcuni esponenti di movimenti di pensiero radicali sul fronte energetico sostengono che non basta ricorrere alle fonti di energia rinnovabile, ma che questa modalità ha valenza veramente democratica se la produzione è molecolare sul territorio: se cioè ogni cittadino o gruppo di cittadini produce la propria energia, per esempio con pannelli fotovoltaici. Se invece si persistesse a pensare alle centrali energetiche, siano esse solari o eoliche, saremmo pur sempre all’interno di una visione oligarchica della produzione di energia. È d’accordo con questa visione radicale?

Zolo Secondo me l’idea che la democrazia possa dipendere da un uso molecolare delle energie rinnovabili è tutta da provare. Io sono molto scettico, pur essendo del tutto favorevole al ricorso all’energia solare e all’uso di pannelli fotovoltaici. La democrazia è una struttura politica delicatissima e complessa che ormai si trova, in Italia, in Europa e nell’intero Occidente, in gravissima crisi. I partiti non esistono più come organismi di rappresentanza politica. I Parlamenti sono sostanzialmente paralizzati dalla preponderanza dei governi. E i governi – si pensi all’Italia – devono il loro potere in larga parte a privilegi sia di carattere economico sia di carattere comunicativo. Lo Stato italiano è una sorta di pseudo-democrazia oligarchica perché il suo governo vive essenzialmente di populismo telecratico e “sondaggiocratico”. A mio parere la centralizzazione della produzione nucleare o di quella solare non cambierebbe granché la struttura politica del paese: forse potrebbe aggravarne, sia pure del tutto marginalmente, lo squallore di un regime corrotto e molto probabilmente complice di associazioni banditesche. E non si può dimenticare che molte famiglie e molti cittadini italiani non sarebbero in grado, a causa della loro povertà, di servirsi di strumenti fotovoltaici per produrre l’energia necessaria alla loro vita.

Il Mese Lei prima insisteva sulla paura. L’essere umano tende inesorabilmente alla conservazione di sé: un concetto che potremmo addirittura far risalire ad Aristotele e più in là ancora. Ogni volta che c’è una tragedia nucleare, l’uomo sembra riscoprire la sua debolezza…

Zolo Ogni tragedia collettiva mette in allarme l’umanità e questo è del tutto ovvio, così come è ovvio che la paura ha profonde radici nella psicologia e nell’emotività umana. L’uomo è l’essere vivente più direttamente colpito dalla paura a causa della sua fragilità e, nello stesso tempo, della sua aggressività. L’antropologia filosofica di autori come Arnold Gehlen lo ha dimostrato in termini perentori. La paura della morte, in particolare, accompagna l’intera vita di tutti noi. Ne deriva che la paura dell’esplosione nucleare può a certe condizioni equivalere, nella memoria umana, alla paura della morte. È innegabile che la tragedia terroristica di Hiroshima e Nagasaki è per molti un emblema della morte e della paura della morte che ritorna violentemente alla memoria quando eventi analoghi si ripetono, soprattutto se accadono nuovamente in Giappone. Quello che in queste settimane è accaduto a Fukushima non può non diffondere, soprattutto nel mondo occidentale, un profondo senso di paura. È la paura, anzi il terrore di morire come è accaduto a centinaia di migliaia di persone che sono morte assassinate da due ordigni nucleari statunitensi. Ma è anche vero che Hiroshima e Nagasaki sono un ricordo glorioso per gli Stati Uniti. Basti pensare che Enola Gay, il Boeing B-29 che cancellò letteralmente Hiroshima uccidendo in pochi secondi non meno di 250.000 persone, oggi è trionfalmente esposto nel museo dell’United States Air Force di Washington.