“L’Italia allunga l’ombra del futuro sul presente se promuove ambienti favorevoli allo sviluppo, se individua e mette in campo le energie per ripensarci su, per fornire una diversa struttura portante e ricollocare in un nuovo sistema di relazioni reciproche le parole, le idee, i concetti, le decisioni, le azioni finalizzate allo sviluppo”. Ne è convinto Vincenzo Moretti, sociologo, della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, che domenica 14 giugno sarà chiamato ad animare, nell’ambito delle Giornate del lavoro di Firenze, la tavola rotonda che avrà come tema “Idee e lavoro” e che si terrà all’auditorium di Palazzo Panciatichi.

Tutto questo è possibile realizzarlo a partire da quattro parole chiave: Internet, innovazione, lavoro, persone. Internet come rivoluzione scientifica, come moltiplicatore di opportunità, come abilitazione e inclusione. Innovazione come approccio, come idea guida che si fa cultura, azione, sistema. Lavoro come valore intorno al quale ricostruire l’etica, l’identità, il carattere di un paese che non si rassegna al declino, il tratto distintivo in grado di riconnettere classi dirigenti e cittadini. Persone come le donne e gli uomini che ogni giorno con le loro idee e il loro lavoro permettono all’Italia di andare avanti, nonostante le tante difficoltà.

“La via dell’innovazione e del lavoro non è soltanto quella più giusta, ma anche quella più utile, più realistica – continua Moretti –, in particolar modo per un paese come l’Italia, che presenta caratteristiche, sul terreno della cultura, della creatività, della bellezza, delle identità e delle caratteristiche territoriali, che non hanno eguali al mondo”. La via della competitività al ribasso non porta invece da nessuna parte, in nessuna delle sue versioni, processo produttivo, costo del lavoro, qualità del prodotto. Secondo Moretti, il futuro del nostro paese è strettamente connesso al concetto di “qualità”: “Qualità del lavoro, qualità dell’impresa e dei suoi prodotti, qualità della pubblica amministrazione e dei suoi servizi, qualità sociale, qualità della vita”.

Insomma, “l’Italia che innova e crea, l’Italia della bellezza e del lavoro ben fatto, l’Italia che pensa che ‘ciò che va quasi bene non va bene’, l’Italia che sa tenere assieme, nel processo del fare, testa e mani, l’Italia che definisce la propria identità a partire dal lavoro, il lavoro ‘per sé’, quello che implica dignità, rispetto, cultura materiale”. “L’Italia – argomenta il sociologo – consapevole che ogni essere umano possiede una motivazione alla riuscita, la spinta a far bene qualcosa. L’Italia che considera la conoscenza una forza produttiva fondamentale. L’Italia che sceglie il lavoro e il suo valore come occasione per cogliere e moltiplicare le opportunità, come contesto che favorisce la possibilità di produrre buone idee e dunque la capacità di rispondere in maniera positiva alla crisi”.

Si può fare? “Si può fare – risponde Moretti –, ma solo a patto che si istituiscano ambienti favorevoli all’innovazione, che si mettano in condizione gli innovatori di sviluppare le loro idee, i loro progetti, le loro imprese. Si può fare. Se si fanno cinque scelte di fondo: investire nella scuola, nella formazione, nella conoscenza; dotare il paese di una politica per l’innovazione e la ricerca scientifica; incentivare e sostenere la transizione delle piccole e medie imprese verso l’economia digitale; istituire tavoli di consultazione, di proposta e di supporto alle decisioni in materia di innovazione a livello locale; mettere al centro le città, i distretti, territori italiani. “In un mondo sempre più condannato a trovare l’asset, il tratto distintivo, il vantaggio competitivo, il quid che un paese, un’istituzione, un’azienda, un brand possiedono in via esclusiva o comunque in misura superiore rispetto a tutti gli altri – dice ancora Moretti –, la valorizzazione dei territori può essere la chiave per fare dell’Italia dalle mille e mille città l’Italia dalle mille e mille opportunità”.

In questo contesto, è sicuramente una buona idea quella di innescare la nuova fase a partire da imprese e start-up innovative. “Una decisione – conclude il rappresentante della Di Vittorio – che potrebbe contribuire a rendere più esplicito il legame tra creazione di lavoro e creazione d’impresa e aiutare a svincolare il carattere innovativo dell’impresa o della start-up dal settore di appartenenza, per rapportarlo a parametri più significativi, come la forza lavoro qualificata presente in azienda, il rapporto con incubatori certificati, con l’università e la ricerca, la qualità e la quantità delle transazioni con le imprese medio-grandi e con gli investitori industriali e finanziari”. (G. I.)