Una sfida ambiziosa, per il movimento sindacale, la prossima stagione contrattuale. Ambiziosa e per tanti versi irta di ostacoli. Per più motivi. Prima di tutto perché, scaduto l’accordo separato che era in vigore dal 2009, il mondo del lavoro non dispone più di un modello condiviso di riferimento che regoli la tornata di rinnovi dal punto di vista delle politiche retributive e del salario.

Un problema non da poco, se si tiene conto del fatto che i tavoli negoziali si aprono nel bel mezzo di una fase di grave emergenza economica, con l’Italia ancora nelle sabbie mobili della crisi e un livello di difficoltà per il sistema delle imprese, a partire dal manifatturiero, che è senza precedenti.

Come se tutto ciò non bastasse, a complicare ulteriormente il quadro appena descritto concorre il rischio – segnalato da tempo dalla Cgil – di snaturamento, quando non addirittura di azzeramento, dello strumento del ccnl. Il riferimento è alla fase di deflazione spinta che sta attraversando la nostra economia e alla tentazione di talune associazioni datoriali, con in testa Confindustria, di ridurre tutta la partita – quando dovesse andar bene – a un semplice strumento di contabilizzazione, mortificando nella sostanza quella che è la funzione fondamentale della leva contrattuale. Può il sindacato assecondare tale orientamento? Sarebbe arduo solo pensarlo.

La verità è che a sostenere l’idea che vorrebbe ancora oggi ridurre il contratto nazionale alla pura e semplice tutela del potere d’acquisto è rimasta solo una ridotta isolata di “estremisti” delle relazioni industriali, inclini più di ogni altra cosa ad assecondare l’insana voglia dell’associazione di viale dell’Astronomia di disfarsi dell’impaccio dei rinnovi, la dimostrazione lampante che la strada intrapresa dal mondo delle imprese non va nel senso della coesione, né tantomeno in quello della solidarietà.

Un contesto pieno di incognite, da cui emerge con estrema chiarezza innanzitutto l’esigenza di regole condivise. In questo senso, sembra andare nella direzione giusta l’invito – giunto lo scorso 25 febbraio a Cgil e Cisl dal segretario della Uil Carmelo Barbagallo – a costruire un “patto d’azione” sul modello contrattuale (allargato anche ai temi della previdenza e del fisco) teso  a “realizzare piattaforme unitarie che ci consentano di stare sul mercato del lavoro con le nostre prerogative”. Allo stesso modo, un contributo importante alla riedizione di un fronte comune tra le sigle confederali può giungere anche dal seminario nazionale sulla contrattazione programmato per oggi e domani (3 e 4 marzo) a Roma dalla Filctem.

Consapevole del delicato ruolo di “apripista” nell’imminente stagione di rinnovi contrattuali (sono in scadenza al 31 dicembre 2015 i ccnl di importanti settori dell'industria e di servizi ad alta rilevanza tecnologica, dal chimico-farmaceutico all’energia e petrolio, alla gomma-plastica), l’organizzazione guidata da Emilio Miceli ha chiamato a una due giorni di confronto esponenti di rilievo, oltre che di alcune delle principali categorie Cgil, della Confindustria e delle omologhe federazioni di Cisl e Uil.

Prove di unità sindacale per la costruzione di un nuovo modello contrattuale? Le intenzioni, almeno quelle, sembrano essere a questo fine orientate.