LECCE - “In tutta Europa i diritti vengono messi fortemente in discussione, perché ha perso la sua anima. Questa non è più l’Europa dei popoli, del welfare e dell’innalzamento delle condizioni delle persone”. Con queste parole si è aperta l'intervista del giornalista Massimo Giannini al segretario generale della Cgil Susanna Camusso in chiusura delle Giornate del lavoro che quest'anno si sono svolte a Lecce dal 27 al 29 maggio. “Se il pensiero della sinistra non riesce a distinguersi dal liberismo, è difficile ritrovare l’anima vera dell’Europa. Questo è un grande nodo che si sottovaluta. La nostra Carta dei diritti dice proprio questo: bisogna ripartire dai valori del lavoro. La flessibilità non ha funzionato, quindi si potrebbe e dovrebbe tracciare una riga e fare scelte diverse. Invece si continua a insistere su posizioni fortemente ideologiche”.

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Al contrario di quanto afferma il governo, la ripresa, intesa come miglioramento delle condizioni di vita delle persone e riduzione delle disuguaglianze, ancora non c’è. “Stanno finendo gli ammortizzatori sociali – osserva Camusso –, le persone vedono davanti a sé un peggioramento. I dati sull'occupazione giovanile sono impercettibili, c’è una emigrazione da dopoguerra, diminuiscono le iscrizioni all’università e aumenta l’abbandono scolastico. Nella condizione quotidiana delle persone, insomma, ci si sente diffusamente più poveri. Il cambiamento vero si misura con la diminuzione delle disuguaglianze, ma noi questo non lo vediamo, se non in piccole sacche dell’economia del paese. Bisognerebbe proteggere chi è più in difficoltà, invece si investe ancora sul versante delle imprese. Continuiamo così ad avvitarci nella crisi”.

C'è però il solito problema, sottolinea Giannini, quello delle risorse. “Si possono trovare in una revisione del sistema fiscale, lavoratori e pensionati ora pagano più di tutti. È forse un delitto la patrimoniale che c’è in tutta Europa? Addirittura nell’America di destra, pre-Obama, si parlava di ridurre la forbice tra i più ricchi e i più poveri. Forse non risolverebbe tutto, ma potrebbe cambiare il clima e aumentare la giustizia sociale”. Sul fisco c'è l'annuncio del governo di un intervento. “Negli ultimi 48 mesi ne abbiamo sentiti parecchi, di annunci. Che ci sia bisogno di un intervento sul fisco lo sappiamo da molto tempo. Sul fatto che sia la volta buona, abbiamo dei dubbi. L’intervento sull’Irpef senza progressività non sarebbe un’operazione di giustizia fiscale”. Anche in questo caso ci si può chiedere dove il governo pensa di trovare le risorse. “Dove taglieranno? Bisognerebbe fare riforme strutturali che determinino progressività e semplificazione, con principi di equità e che distinguano tra finanza e proprietà immobiliare da una parte, e lavoro e produzione dall’altra. La sensazione è sempre che si inseguano promesse dal forte sapore elettorale”.

 

La settimana scorsa si è riaperto il tavolo con il governo su pensioni e mercato del lavoro, per la prima volta dopo tanto tempo. “Accogliamo positivamente l'apertura del confronto – prosegue il segretario della Cgil –, ma deve muoversi ed essere efficace, urgono risposte. C'è l'impegno del ministro Poletti che rassicura sul fatto che non ci saranno atti unilaterali, ma poi leggiamo sui giornali del decreto del Cdm su temi che avremmo dovuto mettere in agenda; e oggi l'intervista al sottosegretario Nannicini, il quale ricomincia col ritornello che il governo ascolta ma poi alla fine decide lui”.

Quasi 400mila posti di lavoro sono stati creati grazie al Jobs Act, dice il governo, o alla decontribuzione, secondo altri. “Non è un mistero per nessuno – sottolinea Camusso – che non abbiamo mai condiviso quella legge. Cosa vuol dire nuovi posti di lavoro? Rispetto a quelli persi, ne abbiamo recuperati solo una parte, ma c'è ancora un bel po' di strada da fare. Non c'entra il Jobs Act. Il governo ha stanziato 15 miliardi per la decontribuzione, noi li avremmo usati per fare un piano straordinario per l'occupazione giovanile”.

Nel frattempo i dati sui voucher confermano tutte le preoccupazioni espresse dai sindacati, tanto da indurre il ministro Poletti ad annunciare un provvedimento sulla tracciabilità. “Criticammo subito la scelta dei voucher, mentre si faceva il Jobs Act. A quelle obiezioni, Poletti già allora rispondeva con la tracciabilità. È solo un cerotto, non basta. I voucher hanno favorito, non in un sottoscala misterioso, ma in grandi aziende del paese, la possibilità di pagare un pezzo e far scivolare nel nero tutto il resto. C'è addirittura chi racconta che è diffusa la pratica di intestarli a parenti e amici. Se una cosa non funziona, va cancellata, esattamente come riuscimmo a fare con l'associazione in partecipazione. La comunicazione 60 minuti prima, di cui ha parlato Poletti, non risolverà nulla, se non l'odiosa pratica dell'attivazione quando capita un infortunio. Siamo lontani da ciò che serve per combatterne l'abuso”.

Resta il tema delle tutele crescenti che divide i lavoratori tra chi è stato assunto prima o dopo la riforma. È questo uno dei quesiti referendari legati alla Carta dei diritti universali del lavoro. “Se rischiamo una sconfitta sull'articolo 18, come avvenne con la scala mobile? Non si possono paragonare le due situazioni storiche, sono molto diverse. Il referendum ha in sé la possibilità di una sconfitta, ma stiamo provando a conquistare qualcosa, anche con strumenti non tradizionali”. “È vero – continua Camusso – che negli scorsi anni abbiamo anche commesso degli errori soprattutto nei confronti della precarietà. Abbiamo sbagliato immaginando che il precariato fosse un fenomeno transitorio. Non c’è dubbio, ma poi abbiamo provato a recuperare. Se questo è vero, non è invece vero che siamo stati o siamo solamente il sindacato degli occupati. Chi lo dice fa un torto alla storia della Cgil e delle altre organizzazioni sindacali di questo Paese. I disoccupati, la protezione dai licenziamenti e gli ammortizzatori sociali sono sempre stati al centro della nostra azione”.

Il nuovo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha recentemente riconosciuto che esiste il problema della caduta del potere d’acquisto dei salari. Ma ha detto di voler intervenire, chiedendo in cambio maggiore produttività. “Se non si investe e non si innova – è la replica del segretario Cgil –, cos’è la produttività? Davvero è il frutto della sola quantità di lavoro dei singoli? Questo è un dibattito molto vecchio. La contrattazione aziendale si fa nel 18-19% delle aziende, mentre l’80% delle imprese sta sotto i 9 dipendenti. È vero, nelle grandi imprese si fa contrattazione di secondo livello, ma nell’80% dei casi la produttività continua a non crescere. Non si può quindi pensare di risolvere i problemi continuando ad abbassare la massa salariale”. È questo il nodo che impedisce di rinnovare oggi il contratto dei metalmeccanici: “Federemeccanica vuole concedere l’aumento salariale solo al 5% dei lavoratori, non è così che ripartiranno i consumi”.

Sul fronte previdenziale, Renzi ha promesso gli 80 euro anche ai pensionati. “Quelle al minimo sono così basse che l'obiettivo è importante. Non saremo noi a dire che gli 80 euro non servono, ma serve anche un intervento strutturale, come serve sulla sanità, perché se 9 milioni di persone rinunciano a curarsi bisogna intervenire”. Quanto ai lavoratori attivi, la Cgil insiste nel chiedere di cambiare la legge Fornero, una proposta fatta insieme a Cisl e Uil e che guarda a tutti, anche ai giovani. “È un problema che ci dobbiamo porre oggi con i lavori poveri e interrotti. I lavori non sono tutti uguali, un discorso che vale soprattutto per quelli usuranti”. L'altro tema che tiene banco è quello dell'Ape, il prestito ipotizzato dal governo Renzi per permettere di andare in pensione qualche anno prima. “Questa misura non è stata mai presentata e dopo l'esperienza negativa della Fornero, fatta senza un confronto, può essere pericoloso. Sono in tanti ad avere un sistema misto, in parte contributivo, e che quindi saranno oggetto di penalizzazione. Noi chiediamo la modifica alla flessibilità delle pensioni, non che si prestino dei soldi con un mutuo legato a banche e assicurazioni. E comunque, se la logica è quella dell'anticipo, allora perché non pensare che possa farlo l'Inps? Ma soprattutto, quanti anni si deve lavorare per andare in pensione, non ne bastano 41? Speriamo che si riprenda a discutere davvero, Ci auguriamo che arrivi presto una convocazione del governo”.

L'auspicio del segretario generale della Cgil, a conclusione dell'intervista, è che “il riscontro positivo di sostegno alla Carta dei diritti diventi una proposta di legge insieme ai tre quesiti referendari. Per rimettere al centro il lavoro, serve una nuova politica fiscale, una concreta politica per il Mezzogiorno, che le iscrizioni all'università ricomincino a crescere. Se c'è un tema per cui vogliamo spenderci, è dare prospettive ai giovani”.

A cura di Guido Iocca, Maurizio Minnucci e Carlo Ruggiero. Foto di Simona Caleo e Marco Merlini