Cercando di costruire, mattone su mattone, questo libro di racconti, non pensavo ci fosse un giacimento così importante di letteratura in lingua italiana scritta da narratori stranieri, nati all’estero o figli di persone emigrate nel nostro paese. Almeno non di queste proporzioni, e già di grande qualità. Un fenomeno di dimensioni culturali e sociali considerevoli. Si pensi che sono oltre mille i narratori, i poeti, gli studiosi che in Italia operano a più livelli, e compongono un arcipelago complesso, anche linguisticamente. Una babele sommersa, di cui spesso non si ha notizie, ma che è, invece, un giacimento ricchissimo di umanità, e costituisce anche un ponte di conoscenza e di comprensione delle dinamiche più specificamente esistenziali di chi è costretto ad abbandonare la propria terra alla ricerca di una vita migliore.

Mi sono avvicinato a questo mondo sommerso con grande umiltà, cercando di capire le tante scritture in fieri, di cui non possiamo al momento immaginare le enormi potenzialità, anche linguistiche, gli sviluppi, gli innesti, le intersezioni, di stili e di immaginario, quello che è sempre successo in tutte le letterature della migrazione, compresa la nostra. Basti pensare a casi eclatanti come quelli di John Fante ed Emanuel Carnevali, dell’italocanadese Nino Ricci (…) Gli scrittori di questo libro vengono da Romania, Argentina, India, Cina, Egitto, Palestina, Algeria, Eritrea, Senegal, Congo, Togo, praticamente da ogni parte del mondo; uno di loro, Abate, è calabro-albanese e la sua famiglia è emigrata in Germania. I temi, sviscerati da scrittori stranieri ormai noti al pubblico nazionale, autobiografici e direttamente interessati alla dimensione migrante, sono i più diversi. Si va da quelli legati allo sfruttamento del lavoro, al viaggio interiore dentro di sé alla continua ricerca dell’appartenenza, fino a quelli della nostalgia e del ritorno, o ai più politici, tra razzismo teorizzato e quello praticato nella vita di tutti i giorni. È un patrimonio di sguardi, di stili, di culture che vanno oltre il valore letterario, e che costituiscono, nell’insieme eccentrico, la presenza del Mondo nella nostra nazione.

Molti di questi scrittori, infatti, sono attivi come piccoli ambasciatori delle loro etnie e dei propri popoli, e partecipano attivamente alla vita sociale attraverso incontri pubblici e collaborazioni con istituzioni locali – che siano Regioni, Province, Comuni o Asl, oppure scrivono sulle testate più sensibili alle tematiche dell’integrazione e della comprensione dei processi politici ed economici in corso nel mondo globalizzato, come ad esempio il manifesto, l’Unità o Internazionale. Tramite loro, insomma, possiamo entrare in comunione con quelle geografie di cui ci sfuggono nozioni e passioni, e di cui nessuno stupido e ottuso telegiornale può dirci. Ai racconti degli scrittori stranieri che scrivono in lingua italiana, fa da “controcanto” – con prestabilita provocazione estetica – un reportage del fotografo Mario Dondero, che ritrae gli emigrati nostri, italiani, tra gli anni cinquanta e i settanta; le istantanee di questo infaticabile maestro del fotogiornalismo, una leggenda vivente, mostrano i nostri a Eboli – da dove partivano, poveri e affamati –, oppure in marcia durante uno sciopero alla Renault in pieno sessantotto, o ancora a Marcinelle, nella miniera dove nel 1956 ne morirono 136, braccati dalle fiamme, soffocati dall’ossido di carbonio. Cose che è bene ricordare.

E così il cerchio si chiude. Perché, come ha scritto Carmine Abate, uno degli autori di questa antologia: “Avendo noi alle spalle una lunga storia di emigrazione dovremmo essere più solidali con chi viene da fuori. Ma sta proprio qui la spina. Chi viene da fuori ci ricorda troppo chi eravamo, chi erano i nostri padri, i nostri nonni. E noi invece vorremmo dimenticarlo. Forse se riuscissimo a rivalutare la nostra emigrazione e i nostri emigranti, a vederne gli aspetti positivi, il nostro atteggiamento nei confronti degli stranieri in Italia cambierebbe”.