Dinanzi a certi titoli indecenti – “macellai islamici”, o anche “prendere atto della terza guerra mondiale” – apparsi sui giornali italiani dopo il massacro di Parigi, vale la pena di tornare ai classici della modernità giuridica, per cercare in essi qualche più proficua linea di interpretazione degli eventi. Per riflettere sul nesso tra guerra e religione, al centro del chiacchiericcio giornalistico odierno, che pretende di operare a difesa dell’occidente violato, è il caso di consultare il De iure belli di Alberico Gentili, comparso nel 1598 e disponibile in una traduzione italiana della Giuffrè.

Nel secolo della crudeltà e del fanatismo ispirati a motivi religiosi, Gentili formulò la celebre affermazione, che Carl Schmitt ha posto come atto di nascita della scienza del diritto internazionale: “Silete Theologi in munere alieno”. Cioè: “Tacete teologi, questo non è il vostro campo”. La modernità dell’occidente postula che la religione non entri nel duro gioco del conflitto politico, che ha delle sue specifiche regole e riguarda solo le persone pubbliche organizzate statualmente. Ora invece si trasformano le più scottanti questioni politiche in faccende teologiche e si rinviene in una fede, e nei suoi sacri testi, la genesi delle ostilità. Ma già per Gentili “una diversa religione non lede per sé il diritto umano” e, quindi, “io nego che si possa muover guerra per il solo motivo della religione” (p. 59).

In polemica con le tesi agostiniane della guerra dichiarata in nome di Dio, Gentili affermava che è “inaudita quella affermazione che esige la fede a colpi di frusta”(p. 55). Non che sfuggano al grande teorico marchigiano gli usi politici della fede e anche il fatto che in Europa avvengano stragi coperte con le “maschere della malvagità”. Ma la radice del contrasto non è per lui nella fede. Scriveva al riguardo che “il re Ferdinando, che ha fama di cattolico, mascherò quasi tutte le sue cupidigie sotto l’onesto velame della religione” (p. 58). La religione è la maschera che copre calcoli di potenza molto più prosaici. E in generale, anche quando la Chiesa organizza le sue sanguinose guerre, lo fa per precisi scopi temporali.

Nel secolo delle lunghe guerre di religione, Gentili avvertiva il bisogno di allontanare il sacro come movente reale delle stragi. Il suo convincimento era cristallino: “Non esiste alcuna religione tanto scellerata da comandare di scagliarsi contro uomini di diversa religione” (p. 58). Se questo avviene, non si agisce affatto in conformità a qualche sacra scrittura. In ogni testo si possono rinvenire pagine di ostilità come aperture verso l’amore. Non esisteva per Gentili un “nemico della fede” e la guerra contro gli eretici e gli infedeli “è un argomento del tutto privo di senso” (p. 57).

Con queste sue asserzioni, Gentili rivendicava la statualità della guerra e ne eliminava così il carattere privato o religioso. L’ardita operazione teorica gli fu possibile non già perché nei testi cristiani si trovassero dei principi etici diversi da quelli islamici, ma perché i processi storici europei avevano infranto l’unità spirituale della Respublica Christiana, con il papa quale autorità che legittimava la guerra giusta. La diversità dell’occidente non è di matrice religiosa. Dipende invece dal fatto che in Europa il territorio, sottratto al governo del sacro, è stato organizzato dalla statualità. Nel mondo islamico, al contrario, lo spazio non è stato curvato dalla cornice statuale e può ancora oggi fiorire il mito dell’unità della fede che scavalca le differenze territoriali, etniche.

Se a queste profonde ragioni storiche (l’assenza di uno Stato territoriale come momento di rottura dell’unità della fede) si aggiungono la cecità e l’imperizia strategica delle potenze occidentali, che con guerre infinite hanno distrutto le parvenze di statualità esistenti, lasciando solo scenari di anarchia, si comprende il senso delle proposte di nuovi califfati. Ma il problema è politico, economico, riguarda il controllo delle risorse, e proprio nulla c’entra la pretesa incompatibilità dei testi dell’Islam con la modernità e i diritti dell’uomo.