La corruzione e gli effetti economici del fenomeno sono temi che non hanno ancora un metodo consolidato d’indagine, studio e verifica comparativa. Il dibattito pubblico, in particolare quello giornalistico, stressa ed esaspera molti fenomeni di corruzione, così come quello delle tasse evase ed eluse da una parte della popolazione e delle imprese, ma la discussione meriterebbe ben altro spirito. L’esasperazione giornalistica degli scandali potrebbe avere lo stesso effetto del silenzio. Penso che ci siano realmente troppi luoghi comuni e tutti quanti siamo presi da facili pre-giudizi.

La prima cosa che andrebbe indagata è la normativa in essere, non tanto quella sanzionatoria “penale-civilistica”, ma quella che regola il funzionamento della macchina pubblica in senso generale. Pensiamo alla normativa sul finanziamento dei partiti politici, sulla struttura e sull’organizzazione degli appalti, sulle donazioni, sull’uso e sulla regolamentazione del territorio, financo sull’intermediazione-facilitazione tra domanda e offerta rispetto ad alcuni contratti realizzata da associazioni e professionisti. In via di principio è facile sostenere che la corruzione e il lavoro sommerso si annidano dove la normativa è complessa, farraginosa e spropositata rispetto alla materia.

Si pensi all’elusione fiscale. Questa è possibile tanto più la normativa si presta all’interpretazione dei presupposti d’imposta, dei redditi soggetti alla data aliquota, all’enorme numero di possibilità di dedurre e/o detrarre alcune poste di bilancio delle imprese e persino dell’imponibile delle famiglie. Potremmo persino spingerci fino ai meccanismi che regolano la pubblicità verso alcuni giornali e tv. Come si vede sono tante le materie che si prestano a fenomeni di corruttela ed elusione della normativa. Se proprio si dovesse suggerire una politica di aggressione alla corruzione e al sommerso, sarebbe più lecito pensare alla semplificazione normativa, più che alla trasparenza. Come si può intuire, non sono proprio sinonimi.

Spesso si legge che l’evasione fiscale in Italia è pari a 150 miliardi di euro, oppure che la corruzione vale non meno di 60 miliardi di euro. La Corte dei Conti è sempre stata molto attenta al fenomeno, ma la denuncia è legata alla manifesta e palese violazione della normativa nazionale nei capitoli indicati. Se però dovessimo impostare l’analisi prendendo in esame la normativa di altri paesi e potessimo fare una qualche armonizzazione della stessa, forse i risultati non sarebbero quelli che la stampa denuncia. In alcune realtà nazionali sono lecite le lobby e i finanziamenti privati ai partiti, così come i gruppi di pressione. Quello che è illecito in alcuni paesi è lecito in altri.

Non solo: siamo proprio sicuri che la corruzione e l’evasione fiscale sia quella che leggiamo sui giornali? È indiscutibilmente alta, ma forse sovrastimata. Il senso comune agevola il fenomeno, ma dobbiamo anche considerare l’effetto moltiplicativo, meglio ancora di trascinamento, della corruzione e dell’evasione. Non si tratta di denunciare la corruzione come fenomeno diffuso, piuttosto di intervenire dove inizia la corruzione. Sarebbe il caso di predisporre delle norme europee che, su alcune materie, implementino una cornice comune e condivisa.

Proviamo a ragionare sulla cosiddetta riforma della pubblica amministrazione, un luogo che la pubblicistica indica come un covo di potenziali corruttori. Ma cosa sarebbe più utile per la società? Una riforma del sistema normativo che regola la società nel suo insieme, oppure una norma che permette al pubblico impiego di svolgere celermente le imposizioni normative realizzate dal governo? Si è letto delle denunce di Raffaele Cantone, il commissario anticorruzione, che descrive i recenti fenomeni di Expo e Mose come qualcosa che travalica il 1992. Forse, sarebbe stato molto più utile denunciare il sistema normativo complesso e farraginoso che ha permesso la corruzione.  Quello che andrebbe sottolineato è la necessità di valutare realmente il fenomeno, sia dal lato normativo e sia dal lato comparativo con altri Stati. Il problema non è la pena, piuttosto la norma che regola il funzionamento della società. In altri termini, non dobbiamo combattere solo il lavoro nero, l’evasione e la corruzione fisiologica – se possibile, si faccia anche quello, ci mancherebbe –, ma colpire la corruzione che dipende dalla normativa in essere che la suggerisce. Con l’impegno di perseguire l’intera area grigia del sistema economico si rischia di non trattare quella che una buona semplificazione normativa potrebbe immediatamente eliminare.

Un sospetto. La predisposizione di un buon sistema normativo di regolazione della società, quindi di un buon funzionamento della pubblica amministrazione, colpirebbe la corruzione più di quanto non possa fare la forza dell’ordine o la magistratura. Non dimentichiamo che l’una e l’altra si occupano di casi particolari, non del sistema. Ma la materia è sempre disattesa, come se i 200 miliardi potenziali di maggiori entrate fossero sempre lì per coprire chissà quale spesa pubblica. Di più: tecnicamente le maggiori entrate dalla lotta all’evasione fiscale indicate da molti governi nel bilancio dello Stato non dovrebbero mai comparire, per la semplice ragione che sono entrate incerte per definizione. Si può dire che c’è qualcosa che non quadra nella cosiddetta lotta alla corruzione e all’evasione fiscale?