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Oltre un milione di disoccupati ha un'età inferiore ai 35 anni. Si allunga la durata della disoccupazione, con una persona su due in cerca di impiego da oltre un anno. E cresce la zona grigia, con circa 1,8 milioni ormai inattivi. Sono alcuni dati che emergono dall'Annuario statistico dell'Istat e che certtamente non stupiscono. Colpisce, invece, il fatto che tra i giovani fino a 29 anni il tasso di disoccupazione dei laureati sia più elevato rispetto a quello dei diplomati. Ciò - spiega l'Istat - dipende dal più recente ingresso nel mercato del lavoro di chi prolunga gli studi, ma anche dalle crescenti difficoltà dei giovani con titolo di studio elevato.
Nel 2011, infatti, il tasso di disoccupazione tra i 25 e i 29 anni raggiunge per i laureati il 16%, un livello superiore sia a quanto registrato dai diplomati nella stessa fascia d'età (12,6%) sia alla media dei 25-29enni (14,4%). Con l'avanzare dell'età, poi, chi è in possesso di un titolo accademico recupera il terreno perso. Quindi se si guarda in generale alla disoccupazione per titolo di studio, si conferma il vantaggio per i laureati, che presentano il tasso di disoccupazione più basso (5,4%, in calo di tre decimi di punto rispetto 2010). Per coloro che si sono fermati al diploma il tasso complessivo è invece al 7,8% (10,4% per la licenza di scuola media inferiore e 11,6% per licenza elementare/senza titolo).
Quanto all'andamento dell'occupazione, l'Istituto di statistica fa notare come nel 2011 si contino 22 milioni 967 mila occupati, in aumento, dopo due anni di discesa, di 95mila unità rispetto all'anno precedente. Il risultato complessivo è la sintesi di una riduzione della componente italiana, controbilanciata dall'aumento di quella straniera. Il rialzo dell'occupazione nelle classi d'età più adulte può essere ricondotto ai requisiti sempre più stringenti per accedere alla pensione, che spostano in avanti il momento di uscita dal mercato del lavoro. Ancora elevato il tasso d'inattività delle donne, nonostante il calo registrato nel corso del 2011 (48,5% nel 2011 rispetto a 48,9% di un anno prima), specie nel Mezzogiorno, dove poco più di sei donne ogni dieci in età lavorativa non partecipano al mercato del lavoro.
È di circa 469 miliardi di euro la spesa per la protezione sociale sostenuta in Italia nel 2011, pari al 29,7% del Pil. Quasi 438 miliardi (il 93,2% della spesa totale) sono stati spesi dalle amministrazioni pubbliche, destinati per 418 miliardi alle prestazioni per i cittadini (l'1,4% in più dell'anno precedente), con un'incidenza del 26,5% sul Pil. Più di due terzi della spesa per prestazioni delle amministrazioni pubbliche si concentra nella previdenza (67,2%), alla sanità è destinato il 24,9% e all'assistenza il restante 7,9%. L'incidenza sul prodotto interno lordo è pari al 17,8% per la previdenza, al 6,6% per la sanita', al 2,1% per l'assistenza.
Nel 2012 la situazione economica delle famiglie italiane è sensibilmente peggiorata. Un dato negativo coinvolge tutti gli ambiti territoriali: il Nord passa dal 41,2% al 53,6, il Centro dal 43,4% al 56,2 e il Mezzogiorno dal 47,6% al 58,8. Il giudizio delle famiglie sul livello di adeguatezza delle loro risorse economiche, osserva l'Istituto di via Balbo, 'è speculare a quello dell'andamento della situazione economica". Nell'anno che sta per chiudersi infatti, la percentuale di famiglie che affermano di disporre di risorse ottime o adeguate è diminuito dal 56,8% al 52,5, mentre i nuclei che le ritengono scarse passano dal 37% al 40,3 e insufficienti dal 5,7% al 6,8. I giudizi migliori sulle risorse economiche, sottolinea l'Istat, sono state registrate al Nord (il 58,5% le ritiene ottime o adeguate), mentre nel Mezzogiorno questa quota scende.