Il Veneto non è un “paese per pensionate”, tutt'altro. In quella regione, come evidenziano i dati 2016 forniti dall'Inps, un'anziana su tre ha la pensione integrata al trattamento minimo, beneficio economico che lo Stato concede ai pensionati con un assegno previdenziale talmente basso da non poter condurre un'esistenza né dignitosa né normale. L'integrazione è stata invece accordata a un pensionato (maschio) ogni 17, il che evidenzia ancora una volta il gap esistente fra anziane e anziani veneti.

Gli aiuti, che servono per lo più a raggiungere la soglia del “trattamento minimo Inps” (corrispondente quest'anno a 501,89 euro), sono più di 266 mila (esattamente 266.285) su 1.447.227 pensioni totali erogate dall’Istituto nel 2016 (escluse le gestioni pubbliche ed ex Enpals), cioè il 18 per cento. Di queste integrazioni, l'87 per cento è riservato a pensionate mentre solo il 13 va a pensionati. In pratica, un terzo delle anziane venete ha un assegno talmente basso da dover ricevere un aggiustamento da parte dello Stato tramite l'ente previdenziale.

“Una delle nostre principali battaglie sarà dare alle pensionate quella dignità che attualmente non può essere garantita da assegni così bassi” commenta Rita Turati, segretaria generale Spi Cgil Veneto. Se infatti prendiamo in esame le pensioni di vecchiaia, che rappresentano le metà di quelle erogate in Veneto, vediamo che l'importo dell'assegno medio degli uomini è di 1.400 euro, contro i 700 euro delle donne. “Ecco perché da tempo chiediamo il riconoscimento del lavoro di cura” riprende Turati: “Le responsabilità familiari non sono condivise, i servizi non ci sono o sono troppo cari. Spesso quindi le donne, per motivi familiari, sono costrette a interrompere la loro carriera lavorativa o a chiedere una riduzione d’orario. Da questo nasce il successivo gap salariale fra pensionati e pensionate”.

Ma c'è anche un altro aspetto importante da considerare. La prospettiva di vita delle donne è più lunga rispetto agli uomini, quindi molte pensionate “vivono” con l’assegno di reversibilità che è molte volte insufficiente a garantire un livello di vita dignitoso. “In tale contesto – aggiunge la segretaria Spi – le richieste al governo di ampliamento della 14esima per gli assegni più bassi e dell'allargamento della no-tax area ai pensionati sotto i 65 anni, diventano elementi fondamentali per rendere più dignitose anche le pensioni delle donne”.

Per quanto riguarda l'integrazione al trattamento minimo, Turati ricorda infine che “deve essere richiesta dallo stesso pensionato o pensionata che spesso, però, non sa di averne diritto. Ecco perché da tempo lo Spi ha lanciato la campagna sui diritti inespressi. I nostri operatori sono a disposizioni nelle sedi territoriali del sindacato per controllare e verificare le pensioni, accertando dunque se possano o meno usufruire di integrazioni o di altri benefici. Con questa iniziativa stiamo recuperando centinaia di migliaia di euro a favore di moltissimi pensionati”.