Matteo Renzi ha spiegato la filosofia della sua riforma elettorale. Che è motivata, per lui, dalla necessità di arginare ogni disegno neocentrista e consolidare il bipolarismo. Se questo è l’obiettivo di sistema che l’Italicum persegue, occorre dubitare del suo grado di realismo. Con la scomposizione di Forza Italia, l’antico bipolarismo non esiste più. E il panorama politico non pare affatto dominato da tendenze neocentriste. A parte il gruppuscolo di Alfano, anch’esso ormai sul viale del tramonto, non esistono al momento delle consistenti forze politiche ispirate al moderatismo.

Del resto, lo spazio centrista non può costituire un’insidia per i democratici, per il semplice fatto che oggi è integralmente occupato proprio dal Pd, che copre ormai un territorio che nulla ha di sinistra. Quando Renzi dichiara che occorre, con la riforma elettorale, “superare il consociativismo veterodemocristiano” indica un falso obiettivo, perché proprio la sua leadership è la garanzia della sussistenza del blocco di potere veterodemocristiano (asse di ferro con l’oppositore Verdini che sopravvive al declino del Patto del Nazareno).

È tale corpaccione moderato, denominato anche Partito della Nazione, che si estende da Bondi a Migliore, a sancire l’inevitabile decesso del bipolarismo. Lo schema che si profila vede questa indistinta formazione politica, post-ideologica e neopadronale, stabilirsi al centro del sistema lasciando al di fuori di essa solo i raggruppamenti più radicali. Con un Partito della Nazione attorniato solo da sigle antisistema scarsamente competitive se prese isolatamente, il bipolarismo è una favola.

Non è visibile una lista (perché la legge esclude collegamenti tra liste e intende obbligare l’evoluzione del sistema nel tracciato bipartitico) alternativa al Pd, con prospettive concorrenziali di qualche sostanza. Questo calco bipartitico, imposto con la forza delle tecniche elettorali, altera la natura di un sistema tripolare asimmetrico e introduce dei palesi momenti di incertezza. Non è un’eventualità del tutto remota che al ballottaggio di lista finiscano per accedere il Pd, con il suo 35 per cento dei voti, e il M5S, con il suo 20 per cento.

È chiaro che, in una battaglia campale che non è più tra destra e sinistra, ma tra un partito centrale del sistema e soggetti che rigettano il sistema, si creano delle attrazioni fatali. A favore del candidato del M5S convergerebbero il 20 per cento della destra (Salvini e Meloni), una componente significativa dell’elettorato di sinistra che si sente tradito dal renzismo e anche una porzione dell’astensionismo (circa il 40 per cento dell’elettorato) si sentirebbe rimotivata per dare una spallata al “regime”.

Renzi è persuaso che con la formula magica del ballottaggio di lista abbia scritto il Rignanum che lo accompagnerà tranquillamente al potere. In realtà, con il fido Roberto D’Alimonte, in nome del surreale dogmatismo bipartitico, potrebbe aver cucinato una frittata.