Il governo, con il noto decreto e gli atti conseguenti, intende procedere a un nuovo assetto dell'Ilva allo scopo di consentire il proseguimento e il consolidamento dell'attività produttiva, riorganizzare l'azienda e metterla sul mercato in tre anni, dichiarando di farsi carico del risanamento impiantistico dal punto di vista ambientale e del disinquinamento del territorio circostante.

Insieme agli interventi di politica industriale sono previste misure a sostegno dell'infrastrutturazione del territorio, il porto in particolare, e per la rivitalizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e turistico. Mi si perdoni per l'estrema sintesi e approssimazione, ma la materia in tutta la sua complessità è ben presente agli addetti ai lavori; il che mi consente di non approfondirne i contenuti per brevità.

Registro soltanto il manifestarsi di osservazioni e critiche al suddetto decreto, che naturalmente dovranno essere attentamente valutate da chi di dovere. Si tratta, come è evidente, di una sfida gigantesca e dagli esiti tutt'altro che scontati, che certo richiederà, da parte del governo, credibilità e serietà, grande capacità di gestione e controllo sulle azioni che dovranno essere intraprese, concrete risorse che dovranno essere impiegate, affidabilità dei soggetti che, ai vari livelli di governance e di responsabilità, dovranno gestire il tutto.

Il governo centrale, ammesso che operi con correttezza e competenza, non può però essere il solo pur indispensabile attore di un’operazione di tale portata; un compito altrettanto importante spetta alla Regione e agli enti e istituzioni locali, soprattutto per ciò che concerne il risanamento ambientale e l'infrastrutturazione materiale e immateriale del territorio circostante.

Non solo. Occorre anche il coinvolgimento della società civile, in tutte le sue espressioni, fondamentale per contribuire al miglior funzionamento possibile dei programmi e delle attività, monitorandone tempi e modalità, per orientare il consenso critico, ma attivo, dell'intera collettività, e per esercitare un controllo rigoroso rispetto al pericolo sempre incombente di inefficienze, sprechi, corruzione, illegalità, infiltrazioni mafiose.

In questo senso, c'è lavoro anche per le tante associazioni e movimenti di opinione che sono sorti e hanno operato in questi anni, a condizione che si acquisisca il senso comune di un progetto incardinato sul rilancio dell'attività produttiva, contestualmente all’irrinunciabile e prioritaria tutela dell'ambiente e della salute pubblica, soprattutto in riferimento alle tematiche riguardanti il risanamento complessivo del territorio – oltre che ovviamente ecologico – anche sotto l'aspetto economico: le già citate infrastrutture, la riscoperta delle risorse storiche e culturali, il rilancio di un turismo sostenibile.

C'è insomma spazio di impegno per tutta la collettività ionica, dai rappresentanti delle istituzioni alle persone attive nei movimenti, a tutti i cittadini che si sentono responsabili del loro futuro e di quello di figli e nipoti. La posta in gioco è molto alta e richiede il massimo impegno possibile, di quelli che, con un termine di moda, vengono definiti gli stakeholders.

In modo particolare, un ruolo importante lo dovrebbe svolgere il sindacato unitario, il quale – pur tra limiti, ritardi e polemiche – ha comunque operato negli ultimi anni, sia a livello nazionale che territoriale, per contribuire ad affrontare tutta la drammatica questione, proponendo soluzioni, interloquendo con le istituzioni e impegnando direttamente i propri dirigenti, che sono venuti a confrontarsi direttamente con i lavoratori e i cittadini.

Credo sia del tutto evidente che il sindacato – al netto delle difficoltà e delle incomprensioni con i lavoratori – debba essere protagonista rispetto alla partita in oggetto; per svolgere questo ruolo, però, non basta la pur indispensabile azione delle organizzazioni di categoria così come si è sviluppata finora.

La verità è che, in fabbrica, c’è bisogno di un sindacato più forte, più unito, capace di rappresentare con molta maggiore efficacia i bisogni, i diritti, le critiche, le giuste proteste e le rivendicazioni dei lavoratori; ma insieme in grado di intervenire in prima persona nella gestione e nel controllo delle attività di produzione, risanamento e rinnovamento impiantistico, con un'attenzione specifica alla tutela della sicurezza e dell'ambiente di lavoro, all'organizzazione del lavoro, alla produttività e alle corrette relazioni industriali.

Si tratta in fondo di recuperare, anzi di riappropriarsi, di una capacità di interpretare un ruolo da protagonista che, in altri momenti storici, il sindacato unitario ha saputo esercitare proprio nella siderurgia e specificamente a Taranto, praticando insieme conflitto, anche duro, ma sempre responsabile, e coinvolgimento nel fissare obiettivi e programmi produttivi, implementandoli con un’organizzazione del lavoro negoziata.

Mi pare questa un’occasione storica per riprendere tali esperienze, superandone i limiti, gli errori, comprendendo le ragioni delle sconfitte subite, soprattutto avendo la forza e la pazienza di coinvolgere, motivare, persino appassionare i lavoratori, nella consapevolezza che una parte almeno del proprio destino è nelle loro mani; che protestare e lottare è indispensabile nei momenti opportuni, ma è altrettanto importante il confronto continuo a tutto campo sul governo della fabbrica.

Senza aver paura delle parole, si tratta di riprendere l'asse strategico di quella “codeterminazione” in versione tarantina, che è stato patrimonio di Fiom, Fim e Uilm, almeno fino a che prima i ritardi e gli errori della politica e poi la crisi e le drammatiche vicende degli ultimi anni, non l'hanno messa in ombra. Personalmente, ritengo sia il momento di ricominciare a parlarne, non in termini astratti, ma per praticarla in concreto, aggiornandone l'elaborazione alla luce di cambiamenti epocali nel frattempo verificatisi, alla luce anche dei processi che hanno continuato a svilupparsi nel contesto europeo, in particolar modo in Germania, e persino negli Stati Uniti, salvaguardando l’originalità del sindacato italiano in materia di relazioni sindacali.

La partecipazione attiva alla creazione di una produttività ambientalmente sostenibile, da parte del sindacato unito e della classe operaia dell'Ilva, potrebbe rappresentare un esperimento di grande importanza e un esempio da seguire a livelli e in contesti più ampi. E altrettanto importante e decisivo sarà il ruolo che giocherà un sindacato confederale impegnato da sempre sulle questioni attinenti l'ambito territoriale.

Lo stesso sindacato che, di fronte a una sfida di tale portata, dovrà necessariamente operare un salto di qualità nella propria capacità di fare da punto di riferimento e di raccordo tra coloro che tradizionalmente rappresenta e tutti i movimenti della società civile, respingendo con fermezza ogni forma di reciproca diffidenza, gelosie, pretese di egemonia, fughe in avanti, anatemi supponenti; nella consapevolezza di cosa e chi si rappresenta nella storia e nella realtà delle nostre terre.

Un salto di qualità che, con tutto il suo carico di rischi e di incertezza, ritengo sia di gran lunga preferibile a un approccio, per così dire, di routine, che vedrebbe il sindacato come uno dei tanti soggetti che siedono ai tavoli, fanno critiche e proposte, consultano a volte i lavoratori, ma alla fine hanno meno poteri effettivi di incidere sulla realtà. 

*Ex delegato sindacale Italsider-Ilva di Taranto