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“Abbiamo fatto politiche guardando solo all'offerta di lavoro, non alla domanda. Aumentare l'età pensionabile per tutti – come nella riforma Fornero – non è la soluzione ottimale”. Lo ha detto Michele Raitano, ricercatore di Politica economica all'università La Sapienza, aprendo l'incontro “Pensionato chi? Finiremo tutti non pensionabili?”, che si è svolto stamani (3 maggio) al teatro Novelli di Rimini, nell'ambito delle Giornate del Lavoro organizzate della Cgil. La discussione è stata moderata da Angelo Marano, membro del collegio dei sindaci Inail. “Con l'aumento dell'età per tutti – ha detto Raitano – non si risponde alle necessità degli individui. Una politica di aumenti omogenei, senza elementi di flessibilità per imprese e lavoratori, ha comportato elementi negativi sia per i lavoratori anziani, sia per i giovani”.
“Nel sistema contributivo faremo uscire dal lavoro sempre più tardi persone in condizioni di salute peggiori. Se tu lavori più a lungo nel contributivo, avrai una pensione adeguata – ha spiegato -, questa è una discussione distorta: si pensa che, dopo essere entrati nel mercato del lavoro, si può lavorare fino oltre 70 anni. Servono politiche industriali e ammortizzatori sociali, poi occorre recuperare la flessibilità nell'età pensionabile, che non ricada solo sui lavoratori ma anche sulla società. Per esempio, si può immaginare una pensione in cui lavoratori prendano di meno, ma siano compensati dalle imprese e dallo Stato”.
“Il rapporto degli uomini e delle donne con il lavoro è differente, anche questo è un aspetto da indagare”. Così Titti Di Salvo, vice presidente della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza complementare. “Sull'uscita dal lavoro – a suo avviso -, vanno valutati molti elementi: innanzitutto c'è l'aspetto dei costi. Poi bisogna verificare l'usura degli impieghi, perché lavorare in fabbrica non è come lavorare in una scuola, vanno studiati diversi sistemi previdenziali che rispondano a tutte le esigenze”. Tra l'altro, ha proseguito, “definire un automatismo, dettato dall'Unione europea, significa dichiarare che le politiche nazionali sono irrilevanti: non è vero, da questo punto di vista la legge Fornero si può cambiare, non è la Ue che ne determina i commi”. Nella riforma Fornero “ci sono tante iniquità, come quella degli esodati. Il governo sottovaluta gravemente l'esigenza di giustizia che esodati, ferrovieri, insegnanti propongono: ancora non si coglie l'urgenza di chi ha subito un'ingiustizia da quella riforma. L'altra grave iniquità è l'aumento dell'età pensionabile per le donne”.
“Il ministro Fornero ha agito con molta approssimazione che ha portato a scelte penalizzanti”. Lo ha affermato Teresa Bellanova, sottosegretario del ministero del Lavoro. “Per ora 160mila persone sono state salvate dalla platea degli esodati – ha aggiunto -, uscendo della disperazione più nera”. Il mondo delle pensioni resta complesso, per esempio “alcune persone vogliono continuare a lavorare e non chiedono di uscire dall'impiego. L'unica e vera soluzione è la flessibilità: è funzionale alle esigenze delle imprese, e anche alle singole situazioni dei lavoratori per andare incontro alle loro esigenze”. Il lavoro “non deve essere visto come 'pena', perché oggi in Italia molti vorrebbero soffrire questa 'pena'. Ci sono migliaia di ragazzi che il lavoro l'hanno perso, molti che non l'hanno mai trovato: per loro si pone anche un problema di identità. Facciamo bene a discutere di previdenza, ma teniamo sempre gli occhi sui giovani”. Secondo Bellanova “dobbiamo riprendere il ragionamento del protocollo col governo Prodi, firmato col ministro Damiano: in quel testo abbiamo posto con fermezza la questione di un tasso di rendimento non inferiore al 60%, da lì dobbiamo ripartire per non dare alle nuove generazioni pensioni da fame”.
“Se cominciassimo a pensare un po' di più alla crescita, daremo una risposta anche alla sostenibilità del sistema”. Ha esordito così il commissario straordinario dell'Inps, Vittorio Conti. “La flessibilità non deve essere una corsa al ribasso per gestire la precarietà - ha osservato -, altrimenti non è una risposta adeguata. In questi anni gli interventi della politica sono stati solo emergenziali, anche il rapporto tra spesa delle pensioni e Pil è stato di questo tipo”. Il passaggio al contributivo, poi, “oltre alla crescita tira in ballo altre variabili importanti: contano i salari, la modalità con cui affrontiamo la flessibilità, come affrontiamo la disoccupazione. Anche il contributivo è legato strettamente alla crescita dell'economia”.
In generale, oggi “serve un progetto per la crescita del paese, che darà i suoi frutti nel corso del tempo: non aspettiamoci un miracolo dietro l'angolo. I giovani che si affacciano sul mercato del lavoro – però – devono avere una visione precisa del sistema previdenziale, per capire cosa aspettarsi e decidere se scegliere forme di previdenza complementare. Va coltivata un'educazione previdenziale adeguata – infine -, bisogna strutturare meglio l'offerta dei prodotti di previdenza complementare, che da noi sono molto frastagliati”. (edn)