Sparare a zero sul sindacato è diventato lo sport più praticato nel nostro paese. Non passa giorno che non si alzi qualcuno a gettare fango addosso alle tre confederazioni. Il primo, e il più autorevole, è stato Matteo Renzi, che non ha lasciato passare giorno, o momento opportuno, per spargere veleno contro il sindacato. A torto o a ragione? Certamente aveva alcune ragioni dalla sua, ma è indubbio che trovasse anche un’utilità nel cercare di eliminare dalla scena chi, secondo lui, aveva la possibilità di mettersi di traverso rispetto all’azione di forte ristrutturazione che aveva in mente di realizzare. Resta poi da verificare se effettivamente il sindacato avesse questo potere, anche solo di disturbo, dell’azione riformatrice del governo: considerando come Mario Monti, che dalla riforma Fornero in poi agli occhi dei sindacati ha fatto davvero tanti danni, nella realtà non ha mai trovato una vera opposizione delle parti sociali.

Renzi, comunque, non ha usato mezze misure. È andato dritto all’obiettivo, come è abituato a fare, e ha fatto davvero del male all’immagine del sindacato. Le cifre cui lunedì ha fatto riferimento Ilvo Diamanti su la Repubblica proprio questo stanno a testimoniare: il declino della fiducia di cui il sindacato godeva presso la pubblica opinione. Per decenni le confederazioni sono state viste come un baluardo della democrazia, della libertà, della difesa dei più deboli, ma adesso – sottolinea Diamanti – hanno un’immagine tutta diversa.

Il punto è che il premier, in questa sua pratica quotidiana, ha forse fatto i suoi interessi: indebolire un potenziale avversario, del resto, fa sempre bene.
Ma per il paese non è stato lo stesso. Col sindacato è stata eliminata una voce importante: e questo non è un dato positivo in un’epoca in cui il concerto si fa sempre più povero. Il sindacato ha grandi debolezze, grandi colpe, ma nella società difficile nella quale viviamo ha sempre rappresentato un momento di attenzione ai più deboli. C’è un bel dire che il sindacato serve solo a se stesso e in particolare ai propri dirigenti: ma quando scoppia una crisi nel paese, quando un’azienda, magari una grande azienda chiude e lascia sulla strada migliaia di lavoratori (e quindi migliaia di famiglie) chi si muove è il sindacato.

È il sindacato che mette in piedi i tavoli di trattativa per cercare una via di uscita ai mali di quell’azienda e allo stesso tempo dei lavoratori.
Le 250 vertenze aperte al ministero dello Sviluppo vedono sempre il sindacato in prima persona agitarsi, esporsi, spesso sbilanciarsi alla ricerca di una soluzione felice per tutti. E spesso, non sempre ma spesso ci riesce: quanto meno a ridurre i danni. I casi della Ast di Terni o della Whirlpool di Carignano, non sono frutto del caso, ma risultato di un impegno e una dedizione da parte dei rappresentanti dei lavoratori che meriterebbero una risposta un po’ meno ingrata.

Si dice che il sindacato non tuteli i più deboli ma solo i garantiti: può anche essere vero che non riesca a garantire tutti, ma è colpa così grave da meritare la demolizione?
I sindacati sono associazioni di lavoratori che, proprio in quanto tali, garantiscono innanzi tutto gli interessi dei loro iscritti. Poi, proprio perché hanno un concetto molto più ampio della loro missione (nel senso di mission, non perché si credano dei missionari), cercano di allargare la loro azione agli interessi di una cerchia di persone molto più ampia. Se non ci riescono, o non ci riescono per la totalità dei diseredati, anche questa non è una buona ragione per eliminarli. È una questione di capacità, non di volontà.

Si dice anche che i sindacati non tutelino i giovani, che poi sono appunto i meno garantiti. Ma anche qui si compiono degli errori. Perché il sindacato li tutelerebbe molto volentieri, e cerca oggettivamente di farlo. Ma un po’ i giovani non lavorano, quindi è difficile tutelarli, dal momento che l’arma dei sindacati non è quella della concertazione, o non lo è più, ma quella della contrattazione, ed è difficile contrattare per chi un lavoro non ce l’ha. Inoltre, molti giovani, anche tra quelli che lavorano, non si rivolgono al sindacato, e questo, in genere, perché hanno un lavoro precario e temono le ripercussioni negative di un loro schierarsi a favore del sindacato, notoriamente non ben visto dalla gran parte delle aziende. E poi, in fondo, perché mai schierarsi con chi tutti i giorni viene insultato o deriso dal presidente del Consiglio?

L’altra accusa rivolta ai sindacati, per la quale si tende a dimostrare la loro incapacità nel fare il proprio mestiere, è che raccolgono, oltre ai lavoratori attivi, anche i pensionati.
Colpa gravissima, agli occhi di qualcuno. Perché questa sia una cosa riprovevole non sono mai riuscito a capirlo. I pensionati in tutto il mondo hanno loro associazioni, e se in Italia, ma non solo da noi, a rappresentarli sono gli stessi sindacati che rappresentano i lavoratori attivi, questo non intralcia assolutamente l’operato del sindacato. Però è questo che si dice, facendo capire che le due cose assieme non si possono assolutamente fare, per cui, nell’immaginario collettivo, le confederazioni sindacali italiane finiscono inevitabilmente per tutelare solo i diritti dei pensionati (che notoriamente sono più incisivi e prepotenti dei lavoratori più giovani).

Insomma, tutti parlano male del sindacato, ma sempre seguendo una moda, portando avanti slogan vecchi, usurati, portando avanti argomentazioni sempre spuntate, quando non sgangherate. Senza guardare alle vere colpe dei sindacati, che ci sono, eccome se ci sono. Nessuno parla del fatto che i sindacati hanno perso – e non riescono a ritrovare – una loro strategia di fondo, che stentano nelle scelte, che sono sempre in ritardo, che respingono opportunità di cui poi, anni più tardi, quando quelle diventano realtà, sono i primi e più strenui difensori, perché solo più tardi capiscono il loro errore, che peraltro si guardano bene dall’ammettere.

Queste incertezze sono la loro grande responsabilità: non quelle che gli attribuiscono i loro detrattori, troppo spesso male informati o superficiali nei loro spietati giudizi. Io credo che il sindacato – al di là delle sue mancanze – resti comunque un fattore di democrazia importante, perché sempre fondamentalmente attento alla sua base, agli interessi dei lavoratori. E questo indipendentemente dalla politica. Lo prova il fatto che una gran parte degli operai, specie al Nord, vota da tempo per partiti di destra, compresi quelli con meno attenzione agli interessi della classe operaia come Forza Italia. E tuttavia, quegli stessi operai, la tessera del sindacato, in tasca, se la sono sempre tenuta.

*da “Il diario del lavoro”