“Il lavoro che cambia”: così si chiama il tavolo istituzionale avviato dal ministero del Lavoro nell’aprile scorso, cui partecipano governo, parti sociali e istituzioni di varia natura. Un tavolo, convocato anche in relazione al centenario dell’Ilo e del G7 dei ministri del Lavoro (previsto a Torino per la fine di settembre), centrato sull’analisi dei cambiamenti della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” ora in atto e sull’identificazione degli strumenti di cui la politica può e deve dotarsi per governarli. Per oggi (martedì 25 luglio) è prevista un nuovo appuntamento a Roma, alle ore 15, presso il ministero del Lavoro (via Veneto 56): per la Cgil partecipa il segretario confederale Tania Scacchetti.

Al dibattito la Confederazione porta, anzitutto, le proposte già avanzate in diverse sedi: il Piano per il lavoro, la Carta dei diritti universali del lavoro e il Piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile. Ma porta anche rinnovate e approfondite valutazioni sui tanti argomenti in campo, proprio per comprendere gli effetti che le “grandi trasformazioni” stanno operando dal punto di vista sociale, economico e produttivo.

La prima riflessione attiene alla crisi del modello di sviluppo degli ultimi anni. “Un modello fondato sull’aumento strutturale delle disuguaglianze, sulla finanziarizzazione dell’economia, sulla riduzione del ruolo del pubblico e dei sistemi di welfare universali”, si legge nel documento inviato al ministero. Ma il cambio di paradigma proposto dalle “grandi trasformazioni” (dall’economia digitale alla sfida climatica, dalla riqualificazione dell’industria alla salvaguardia dei territori) chiede politiche economiche e sociali differenti da quelle agite finora. “Politiche – spiega la Cgil - che rimettano al centro il lavoro e la sua dignità, l’economia reale e il ruolo della politica, un sistema di welfare universalistico e rispondente ai nuovi bisogni. E che partano dall’assunto della necessità di ridurre gli squilibri, riequilibrando il rapporto fra economia e finanza da un lato, autorità statuali e sovranazionali dall’altro”.

Ma la politica ha bisogno di visioni e di obiettivi di lungo periodo. Per la Cgil l’obiettivo deve essere quello “della piena e buona occupazione, che si può pienamente sostanziare attraverso anche la diretta generazione di nuove opportunità di lavoro, in particolare rivolte ai giovani”. La visione deve avere come riferimento “la costruzione di un nuovo e universale sistema di diritti e tutele a garanzia del lavoro”, dentro processi produttivi che richiederanno “nuove e diverse flessibilità, nuove competenze, un maggiore protagonismo e coinvolgimento dei lavoratori e delle loro rappresentanze”. Va pertanto definito “un nuovo nesso fra diritti sociali e di cittadinanza e diritti del lavoro, come elemento a fondamento della realizzazione di una condizione di pace e di crescita sostenibile e inclusiva”.

In tutto questo è essenziale il coinvolgimento delle parti sociali. “Condivisione, responsabilizzazione e valorizzazione delle relazioni partecipative e della contrattazione collettiva sono le chiavi per affrontare le sfide del futuro” scrive la Cgil, rigettando “la riduzione del perimetro delle tutele, l’irrigidimento delle forme di controllo, le spinte alla disintermediazione”. Si pone l’urgenza di “una regolazione democratica dei processi economici mondiali”, che vuol dire rafforzare “il sistema normativo e la strumentazione a sostegno del lavoro dignitoso e delle sue rivendicazioni” sia in sede Ilo sia nei confronti delle istanze sovranazionali (come la Comunità europea).

Entrando nel merito della questione italiana, la Cgil sottolinea i grandi mali del nostro paese: la crescita lenta e diseguale; la polarizzazione tra aziende innovative e a forte vocazione internazionale e aziende “orientate alla domanda interna, che hanno giocato la loro capacità competitiva sulla svalutazione dei costi, in primis il costo del lavoro”; il persistente divario Nord/Sud; la prevalenza di imprese medio-piccole; la polarizzazione dei redditi, con “bassi salari medi e bassi investimenti a fronte di una crescita della ricchezza privata di 4 mila miliardi”.

Servono azioni, spiega la Cgil, per contrastare la “crescente povertà assoluta e il crescente lavoro povero”, di mera sopravvivenza. Di certo non bastano “interventi rivolti in via pressoché esclusiva all’incentivazione del secondo livello di contrattazione, in particolare al salario di produttività”. E occorre agire anche sulla “frammentazione e polverizzazione dei cicli produttivi”, mediante provvedimenti che favoriscano “lo sviluppo omogeneo delle filiere produttive e nel sistema degli appalti, a partire dal tema della legalità dei processi economici e dal rafforzamento del sistema dei controlli e delle tutele”.

I “nuovi lavori”, conseguenza della digitalizzazione e dell’automazione, pongono nuove necessità. Esse sono legate, ad esempio, alla tutela della salute e della sicurezza, oppure alla “disarticolazione dei tempi e dei luoghi di svolgimento della prestazione, caratteristica che li rende sempre più multiformi, poveri e non sempre chiaramente catalogabili dal punto di vista della figura giuridica”. Il lavoro sarà sempre più elastico e flessibile, sostiene la Cgil: c’è quindi bisogno di nuove cornici legislative e soluzioni contrattuali, di una “rimodulazione della distribuzione degli orari di lavoro”, del rafforzamento degli incentivi agli investimenti, quest’ultimi “accompagnati da un’azione di politica industriale volta a indicare i settori strategici, il sostegno pubblico allo sviluppo e alla ricerca”.

Sono molte le questioni che vanno affrontate nel nostro paese: l’occupazione femminile (superando i nodi della bassa partecipazione al mercato del lavoro delle donne e del gap di genere retributivo e contributivo); le competenze e la formazione (da migliorare sia mediante l’investimento nella scuola pubblica, incluso l’innalzamento dell’obbligo scolastico, sia mediante il pieno esercizio del diritto all’apprendimento permanente).

Tema capitale è quello della precarietà giovanile. Qui la Cgil invita tutti a una severa riflessione su alcune strumentazioni, come Garanzia Giovani, l’apprendistato o l’alternanza scuola-lavoro, che “certamente vanno implementate e rafforzate, a patto però che si apra un confronto, a oggi non effettuato, sui tanti limiti che hanno avuto in questi anni e sul rischio, purtroppo non marginale, che sostengano ulteriori forme di precarizzazione”.

L’ultimo tema enunciato nel documento è quello del welfare. “Il cambiamento tecnologico e le ricadute che presumibilmente potrà determinare, unitamente ai cambiamenti demografici con i quali il nostro Paese si confronta, pongono la questione del welfare come centrale” scrive la Cgil. Serve dunque un profondo ripensamento di scelte che hanno diminuito “gli investimenti in un settore che è un vero motore di sviluppo, riducendo le coperture universali in sanità, istruzione, previdenza pubblica, che invece sono state il cuore del modello sociale italiano ed europeo”. Per la Cgil, in conclusione, affrontare il tema della costruzione delle nuove protezioni sociali e dell’ammodernamento tecnologico dei servizi significa, anzitutto, investire “sui beni pubblici, qualificare e innovare la spesa pubblica investendo sul lavoro, rafforzare il welfare integrativo nella sua logica definitoria e non sostitutiva come spesso si indica”.