Tre firme in una settimana. Tre accordi rilevanti in sé, e per quello che possono rappresentare in prospettiva. È questo il significato congiunto dell'accordo sulle relazioni industriali con Confcommercio, di quello firmato con gli artigiani, e del testo unitario per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. “Sono firme importanti, perché rafforzano la proposta dei sindacati, che si basa innanzitutto su un principio di fondo: la discussione sulla riforma del modello contrattuale e la stagione dei rinnovi contrattuali non sono in rotta di collisione, come invece voleva Confindustria all'inizio”. Lo ha detto, ai microfoni di Italia Parla su RadioArticolo1, Franco Martini, della segreteria nazionale della Cgil.

Viale dell'Astronomia non voleva rinnovare i contratti se prima non si fosse fatto l'accordo sul modello - ha continuato Martini - , ma molte intese, nel frattempo, hanno smentito questa posizione. Noi, al contrario, sostenevamo che si potevano fare le due cose contemporaneamente. E i fatti ci hanno dato ragione. Ora, andremo avanti anche nella discussione sulla contrattazione, perché l'accordo siglato per i meccanici non si trasferisce automaticamente sul tavolo di Confindustria, elevandolo a modello. Ma cercheremo comunque la coerenza con gli accordi che abbiamo firmato con le altre associazioni datoriali”.

 

Leggendo i tre documenti appaiono fondamentali il ruolo della contrattazione come fattore di crescita economica e il riaffermarsi della centralità del contratto nazionale. “Quando partì la discussione sulla necessità di riformare il modello contrattuale - ha detto il dirigente sindacale -, il governo, Confindustria e molti economisti, puntavano a depotenziare il contratto nazionale, spostando in azienda il processo redistributivo della produttività. Chi sosteneva questa tesi, faceva finta di non sapere che la contrattazione di secondo livello viene esercitata solo in un quinto del mondo del lavoro italiano. Quindi smontare il contratto metterebbe fuori gioco i quattro quinti dei lavoratori. Per questo la nostra proposta unitaria ribadiva un'architettura contrattuale fondata sia sul ruolo del contratto nazionale che sull'esigenza di di sviluppare il secondo livello. Non esiste però un modello a taglia unica, esistono vari modelli contrattuali adatti ai diversi territori e alle diverse realtà produttive. Solo così la contrattazione può essere una vera leva per lo sviluppo”.

Sul modello contrattuale, in effetti, gli accordi con artigiani, commercianti e Confapi hanno tracciato un solco. Secondo Martini, hanno finalmente “smentito la vecchia narrazione di Confindustria”. Non è un caso che anche le voci provenienti dal governo, “che sollecitavano le parti sociali a darsi una mossa” si siano ultimamente “molto affievolite”. Quegli accordi, ha concluso Martini, “hanno riconfermato la validità e l'efficacia di un sistema contrattuale che agisce su più di una leva. E la tesi secondo la quale il secondo livello non è solo aziendale, come afferma Confindustria, ma può essere anche territoriale, di sito o di filiera produttiva. Attraverso la contrattazione, bisogna infatti intervenire nella realtà, con i piedi ben saldati a terra. Perché se non rendiamo la contrattazione aderente alla realtà specifica di un territorio o di uno stabilimento, rischiamo di riproporre una contrattazione che un è rito e che non ha la capacità di intervenire per modificare in meglio quella realtà produttiva”.