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Il vertice politico straordinario sulla Grecia si è concluso, mentre molti temevano o auspicavano tempesta, con squarci di sereno. Un passo avanti; anche se si è deciso di prendersi qualche giorno in più per valutare le proposte di Tsipras; ma con il proposito di arrivare in settimana a un accordo.
Alla base di tanta nuova ragionevolezza, che rende minoritarie le posizioni dei “falchi” di entrambi gli schieramenti, c’è una ragione evidente. Ovvero che nessuno vuole assumersi la responsabilità del Grexit (l’uscita di Atene dall’Eurozona); e questo sia perché sarebbe una corsa verso l’ignoto sia per la difficoltà di valutare l’impatto economico e geopolitico dell’evento; ma, soprattutto, per il motivo che nessuno vuole passare per l’affossatore dell’Europa, specie la Germania, e per ovvi motivi.
Ma ce n’è anche un’altra che rafforza la prima sensibilmente. Ed è che, crollando Atene, Italia, Francia e Germania, per citare i principali protagonisti dell’Unione monetaria, perderebbero decine di miliardi di euro. Analogo discorso vale per la Banca centrale europea (Bce), che ha fin qui tenuto in vita con i suoi prestiti d’emergenza il sistema bancario ellenico stressato da massicci ritiri di depositi (per il timore di trovarsi dracme svalutate nei conti correnti).
Per questioni di bilancio, visto che un collasso greco ne esibirebbe la fragilità dell’esposizione verso Atene; ma, principalmente, perché Francoforte, e in particolare il suo presidente Mario Draghi, per il loro sostegno ad Atene sarebbero esposti a rischi reputazionali; particolarmente in Germania, dove molti suoi interventi sono letti come “politica fiscale surrettizia” a favore di alcuni Stati. Pertanto, è logico che tutti i protagonisti, Atene compresa (temendo le conseguenze del proprio default), cerchino un accordo; che pare ormai esserci.
Tuttavia, anche se la trattativa di questa settimana tende al buon fine per dare ai mercati tranquillità, la vera partita è rimandata all’autunno, quando si dovrà affrontare la questione, inevitabile, della ristrutturazione del debito sovrano (pubblico) greco. In altri termini, come di recente rilevano molti analisti, anche stimolati dall’attenzione del ministro delle Finanze ellenico Yanis Varoufakis per la teoria dei giochi, da tempo quello tra Bruxelles e Atene è una sorta di chicken game (gioco del pollo) – consiste in due auto in corsa verso il baratro; perde chi sterza per primo (il pollo), vince chi lo fa dopo; ma entrambi possono non cedere e finire nel burrone.
Il Grexit è quest’ultima ipotesi, tuttora verosimile, quantomeno per la difficoltà di fare accettare, sia pure per opposti motivi, alle opinioni pubbliche coinvolte i costi inevitabili degli accordi in campo. Ciò posto, ammettendo comunque che in settimana un compromesso lo si troverà (anche per le pressioni Usa, data la rilevanza di Atene nel fronte Sud della Nato), merita interrogarsi sulla sua qualità.
La risposta è: di emergenza, per evitare uno tsunami. In sostanza, un accordo tutto politico per comprare tempo. Ma è pure vero che qualcosa è preferibile al niente. Che cos’è, allora, questo “qualcosa”? Uno scambio politico. Ovvero, in cambio di misure rigoriste, la Grecia ottiene un pacchetto di miliardi per poter pagare le sue prossime rate al Fmi e alla Bce, tirando un sospiro di sollievo “finanziario”. Tuttavia, a rallentare l’erogazione di questi fondi c’è un vincolo politico: ed è che la decisione deve passare per l’approvazione di alcuni Parlamenti nazionali, tra qui quello tedesco; e questo, mentre le scadenze incombono, richiede tempo.
Una possibile via d’uscita, secondo l’analista Attilio Geroni sul Sole-24 Ore, potrebbe consistere nello sbloccare le risorse residue del fondo di ricapitalizzazione delle banche greche. Anticipate queste, poi si potrebbe, ottenuto il via libera di governi e Parlamenti, erogare le rimanenti, ora bloccate. Comunque, è bene ripeterlo, l’obiettivo è di prendere tempo.
Per di più, il contraccambio offerto dal governo di Atene lascia perplessi. Perché, al fine di toccare il meno possibile la finanza pubblica (sua base consensuale) annuncia un’austerità recessiva a danno del settore privato – prelievo straordinario sulle imprese; aumento dei contributi previdenziali (costo del lavoro) – che nulla promette di buono per la crescita ellenica.
Ma il vero obiettivo è di arrivare a una soluzione/ponte che metta poi mano al debito sovrano greco. Certo, nessuno lo afferma esplicitamente; ma è evidente che a ciò si dovrà arrivare. Detto brutalmente, la convenienza del creditore per una ristrutturazione del debito è nella possibilità di recuperare almeno parte delle risorse prestate; mentre, rifiutando la ristrutturazione, rischia di perdere tutto.
Esattamente questo è l’appuntamento d’autunno cui punta Atene. Con la buona possibilità, al primo irrigidirsi delle parti, di ritrovarci nella stessa situazione drammatica dei giorni scorsi. La questione greca, insomma, mostra come sia illusorio credere di risolvere i problemi dell’Eurozona con l’omologazione delle politiche fiscali via progressive cessioni di sovranità; difatti, è più un’ideologia del vetero europeismo che una risposta fattibile.
Piuttosto, la via sarebbe quella di rendere realmente comunicanti i mercati di lavoro, beni e servizi entro l’Euroarea; altrimenti, l’omologazione fiscale farà, come fa, solo danni. Purtroppo, è questa la discussione che è mancata in questi difficili giorni della Grecia. Anche per questo, alla fine dei conti, ci si è sostanzialmente limitati a spostare in avanti i problemi. Ma la politica è anche questo: evitare gli scogli immediati; poi si vedrà. In fondo, pure per questo può essere preziosa.