La piazza di San Giovanni, e prima i cortei che hanno attraversato Roma, sono la prova – ma non è una novità – che i giovani partecipano, e come, alle lotte della Cgil. Ma il governo, molta stampa, anche qualche comico insistono su una Cgil che pensa solo ai “vecchi”, ai garantiti, a quelli che il lavoro già ce l’hanno. Chiediamo a Serena Sorrentino, segretaria confederale della Cgil, di ragionare con noi su questa contraddizione, su come nasce e su come si perpetua.

“Il governo propaganda l’idea –risponde Sorrentino – di star provando a sanare il dualismo nel mercato del lavoro tra chi ha i diritti e chi non li ha, tra chi è dentro e chi è fuori. Ma se si guardano i suoi interventi concreti – prima il decreto Poletti, poi il Jobs Act –, la parte dei non garantiti continua a essere quella senza diritti. La rappresentazione che si vuole dare del sindacato, anche per delegittimarne la funzione della rappresentanza sociale, è quella di chi si occupa soltanto di chi è garantito. In questi anni invece la Cgil ha fatto esattamente il contrario: dall’introduzione delle famose norme del pacchetto Treu, alla legge 30, al collegato lavoro, fino alla legge 92 e ora all’abbinata decreto Polletti-Jobs Act, noi non soltanto abbiamo dichiarato la nostra contrarietà, dicendo che avrebbero aumentato le distorsioni del mercato del lavoro e la precarizzazione, allargando la forbice tra garantiti e non garantiti, ma abbiano anche prodotto migliaia e migliaia di accordi nelle singole aziende, ma anche nei contratti collettivi, con modifiche in senso inclusivo che guardavano da un lato alla stabilizzazione dei precari e, dall’altro, al riconoscimento di alcuni diritti: dalla maternità alla retribuzione, ai diritti sindacali.

Rassegna Ma tutto questo non è diventato senso comune. Perché?

Sorrentino  Perché l’area del precariato è oggi la maggioranza del tasso di sostituzione dei rapporti di lavoro. Le comunicazioni obbligatorie ci dicono che, in altre parole, il 69,5 per cento dei nuovi rapporti di lavoro è a tempo determinato. C’è un aumento esponenziale delle forme di lavoro frammentarie, a tempo, e soprattutto povero. E sono forme di lavoro che vengono disciplinate in virtù della legge, non della contrattazione. La contrattazione, dove siamo riusciti a esercitarla, ha avuto una funzione d’inclusione. Come è avvenuto per esempio in tutta la partita gestita dopo il 2007 con il protocollo sul welfare, da cui derivarono gli avvisi per le  stabilizzazioni nei call center e con le iniziative per la stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione, come le battaglie per il contratto nazionale della somministrazione, per contrastare le false partite Iva e difendere il buon lavoro autonomo e professionale, fino alla recente campagna sugli associati in partecipazione. È vero, la micro-vertenzialità che c’è nei tanti luoghi di lavoro non dà l’idea complessiva di un sindacato che si occupa di quel mondo, ma è vero anche che ci sono pochi strumenti di contrattazione che ci permettono di intervenire per limitare il precariato, perché la legislazione nel mercato del lavoro è intervenuta in questi anni in maniera invasiva senza accompagnare alle flessibilità introdotte nel mercato del lavoro dei regimi di tutele in senso estensivo, dai diritti sindacali, ai diritti contrattuali, ai diritti sociali.

Rassegna  Adesso parte la  campagna “Xtutti”. Con una serie di richieste chiare. Che si possono condensare con la formula: basta lavoratori di serie A e di serie B, tutti in serie A; basta con i contratti a termine come li ha ridisegnati Poletti; maternità e disoccupazione per tutti; rappresentanza per tutti. Una piattaforma tutt’altro che minimalista…

Sorrentino  Assolutamente. Perché la vera svolta è affermare un principio banale: tutti i lavoratori devono avere un codice di diritti universale che viene riconosciuto loro a prescindere dal regime contrattuale. Noi chiediamo da tempo che vengano razionalizzate e ridotte le forme contrattuali. Ma nel frattempo, visto che l’indirizzo del legislatore è quello di non diminuire la precarietà, dobbiamo affermare il fatto che comunque, che tu sia un associato in partecipazione, che tu sia un collaboratore a progetto, che tu sia un lavoratore che viene pagato attraverso i voucher, che tu abbia una partita Iva e sia considerato un lavoratore autonomo, devi avere diritto al riconoscimento della maternità (e della paternità), all’equo compenso, alla possibilità di esprimerti e incidere sulle tue condizioni di lavoro, con l’estensione di forme di democrazia e di rappresentanza a tutti coloro che operano in uno stesso luogo di lavoro. Così come il diritto al riconoscimento della malattia e dell’infortunio. Se tutte queste cose venissero riconosciute, a prescindere dalle forme contrattuali, faremmo già un grande salto culturale verso l’affermazione che non ci sono lavoratori di serie A e di serie B.

Rassegna  Insomma, l’obiettivo è quello di superare la precarizzazione, ma anche quello di riconoscere la qualità dei rapporti di lavoro…

Sorrentino  Sì, quello della qualità è un problema che vale oggi non solo per i lavoratori precari, ma anche per quelli “standard”. Se si intaccano alcune previsioni dello Statuto dei lavoratori – articolo 4 e articolo 13: mansioni e controllo distanza –, se si interviene sulla disciplina dei licenziamenti e sulla definizione della struttura del salario, è chiaro che l’obiettivo non è solo quello di non affrontare davvero il problema del precariato, ma anche quello di intervenire pesantemente sulle condizioni dei lavoratori cosiddetti garantiti. Tutti in serie B.

Rassegna  Ma intanto il ddl delega è passato al Senato e si parla di “blindatura” alla Camera…

Sorrentino  Noi speriamo che alla Camera si apra un dibattito vero sui contenuti e sulle ricadute del Jobs Act. Anche perché contemporaneamente è iniziata la discussione sulla legge di stabilità. Sono due i punti più critici: il fatto che la riforma del mercato del lavoro venga fatta, ancora una volta, a costo zero, con il finanziamento di alcune misure che deriva dal definanziamento di altre – vedi i contratti di solidarietà espansivi, che sono  finanziati con la riduzione dei periodi di copertura della cig ordinaria e straordinaria –: se sarà così, questo disegno di legge non estenderà le tutele, non cambierà la sostanza del mercato del lavoro.
C’è poi un altro aspetto su cui vorremmo che si concentrasse la discussione parlamentare: se, nonostante il decreto Poletti e il Jobs Act, le previsioni del governo sono di una disoccupazione che al 2018 resterà sopra l’11 per cento, vuol dire che anche loro sono scettici sull’impatto che avrà sulla disoccupazione una rimodulazione delle regole. È quindi necessario modificare il disegno di legge delega per fare, almeno su alcuni punti – la riduzione della precarietà, l’estensione degli ammortizzatori, l’estensione di alcuni diritti universali – una scelta che vada nella direzione della qualità del lavoro. E contemporaneamente sarebbe giusto affrontare, nella discussione della legge di stabilità, un provvedimento collegato che riguardi gli investimenti e la creazione di occupazione e lavoro. La nostra manifestazione, e le forme di mobilitazione che porteremo avanti dopo San Giovanni, puntano proprio a questo.