Nei giorni del debutto di Fiat Chrysler Automobiles come player dalla vocazione globale, in pochi si sono ricordati che l’impianto di Termini Imerese è stato cancellato dalla cartina degli stabilimenti del gruppo con un semplice tratto di penna. Ora, però, ciò che si mormorava da tempo è ufficiale: un gruppo di manager Alfa Romeo, dopo aver costituito una società ad hoc, ha presentato una manifestazione d’interesse per acquisire gli impianti ex Fiat e assemblare in Sicilia la Ypsilon ibrida, offrendo così una prospettiva occupazionale a circa 550 persone. Poco, si dirà, rispetto al piano ambizioso presentato da Sergio Marchionne dagli Usa, il 6 maggio, che se diventasse realtà farebbe di Fca il sesto costruttore mondiale di auto. Di sicuro, però, se andasse in porto, una boccata d’ossigeno, in una situazione che sembrava senza via d’uscita.

Ma veniamo al piano Marchionne, di cui analizziamo in quest’articolo le possibili ricadute su Torino. Oltre 55 miliardi di investimento senza aumento di capitale, un utile netto superiore ai 5 miliardi e 7 milioni di auto: numeri importanti, accomunati da un’unica data, il 2018. Un progetto di rilancio in cui una parte significativa, tra gli obiettivi del gruppo riguardanti l’Italia, dovrebbe avere l’Alfa Romeo, passando dalle attuali 74mila vetture prodotte a circa 400mila unità nel 2018. Per raggiungere questo traguardo l’idea è di realizzare otto nuovi modelli destinati ai mercati di tutto il mondo. In questo quadro un ruolo centrale dovrebbe averlo lo stabilimento torinese di Mirafiori, che insieme alla Maserati di Grugliasco sarà impegnato nella produzione dei due marchi dell’alta gamma, settore che Marchionne ha deciso di aggredire entrando così in competizione con costruttori come Mercedes e Audi.

Se sulla carta si sta scrivendo un nuovo libro, non tutti scommettono sulla possibilità che lo stesso diventi un bestseller. Soprattutto gli investitori hanno congelato facili entusiasmi, punendo il titolo con un -11% e due sospensioni per eccesso di ribasso il giorno dopo la conferenza di Auburn Hills. “Da prospettive diverse – spiega Federico Bellono, segretario generale della Fiom torinese – noi e gli investitori manifestiamo per certi aspetti le stesse perplessità sul piano industriale Fiat Chrysler. Innanzitutto c’è un problema di credibilità: la persona che nel 2009 lanciò Fabbrica Italia immaginando 20 miliardi di investimenti senza che poi questo accadesse, oggi parla di 55 miliardi di risorse da impiegare, ma sposta gran parte degli obiettivi dal 2016 al 2018. Inoltre è tutta da verificare l’effettiva disponibilità del gruppo a sostenere questo piano. Infine non va sottovalutato un altro elemento: le tempistiche si allungano perché non c’è abbastanza liquidità e l’indebitamento è elevato”.

Nel merito, per il segretario delle tute blu torinesi “il business plan presentato a Auburn Hills è approssimativo e l’attribuzione dei modelli ai diversi impianti è frutto più di ricostruzioni giornalistiche che di precise indicazioni. Da questo punto di vista Fabbrica Italia era un piano molto più dettagliato. Questa indeterminatezza è il vero elemento di debolezza del lavoro svolto finora da Marchionne”.

Insomma, non solo ci sono delle evidenti criticità finanziarie, ma per vedere gli effetti sull’economia reale bisognerà aspettare ancora qualche anno. Solo nel 2018 ci potrà essere la svolta tanto attesa a Mirafiori e solo fra quattro anni vedremo se lo stabilimento sarà tornato a girare pieno ritmo, con gli operai tutti al lavoro dopo un lungo periodo di cassa integrazione. Torino, in ogni caso, secondo le previsioni, dovrebbe essere il quartier generale di Fca per il mercato europeo e potrebbe beneficiare di oltre 2 miliardi di investimenti sui quasi 10 miliardi complessivi previsti per gli stabilimenti italiani.

Se c’è una certezza, questa riguarda la mission industriale degli stabilimenti di Mirafiori e Grugliasco: un unico polo, per la produzione di auto del settore premium. Mancano però indicazioni precise sul numero di modelli. Saranno tre, forse addirittura quattro. A Mirafiori entro la metà del 2015 dovrebbe partire la produzione del suv Levante Maserati. Nello stabilimento torinese dovrebbe inoltre arrivare anche l’erede della Gran Turismo Maserati oggi prodotta a Modena e il nuovo Suv Alfa Romeo. Se dovesse essere costruito quest’ultimo modello, con una linea appositamente dedicata, aumenterebbero le possibilità per l’arrivo della quarta macchina: la nuova ammiraglia Alfa.

“Si è fatto un gran parlare di un motore a Mirafiori – prosegue Bellono – ma al momento assistiamo allo spostamento di ingegneri e progettisti dagli Enti Centrali a Modena. Sarebbe importante realizzare un’intera auto entro i confini della fabbrica di corso Tazzoli ma per ora anche su questo punto non sono stati offerti maggiori dettagli. In questo limbo che va dal 2014 al 2018, per gli operai delle Carrozzerie c’è solo da sperare che alla Maserati di Grugliasco la produzione continui a crescere, per fare in modo che molti, in cassa integrazione, abbiano almeno lì l’opportunità di lavorare. La Fiom, in tema di ammortizzatori, chiede l’adozione dei contratti di solidarietà”. Per le Carrozzerie, dove sono in pianta organica circa 5550 addetti, il 2014 sarà ancora un anno di transizione, con l’attuale tranche di ammortizzatori sociali straordinari che terminerà a fine settembre. Da qualche tempo sono diventate però il polmone della Maserati di Grugliasco. Qui lavorano 2100 addetti, mille dei quali provenienti proprio dalle Carrozzerie. Nei prossimi mesi altre centinaia di unità potrebbero spostarsi a Grugliasco dove si è arrivati a produrre in media 148 vetture al giorno.

“Se si introduce il terzo turno – ha concluso Bellono – serviranno circa 900 addetti. Se invece se ne fanno due a scorrimento e si lavora al sabato, i lavoratori interessati potrebbero essere 400-500. Questa è la cosa più concreta”. Per il resto, gli operai delle Carrozzerie devono accontentarsi delle dichiarazioni di Marchionne pronunciate il 6 maggio dagli Usa. “Siamo impegnati a non mandare nessuno a casa e a non licenziare. Quando arriverà l’industrializzazione dei prodotti rientreranno tutti quanti”. Parole incoraggianti. Che restano pur sempre parole.