Circa 2 mila lavoratori della fabbrica Fca di Kragujevac, nella Serbia centrale, dove di produce la Fiat 500L, sono in sciopero da oltre due settimane (dal 27 giugno per l'esattezza). Lottano per chiedere aumenti salariali, visto che il loro stipendio medio è attualmente inferiore ai 400 euro mensili (tra i 40 e i 50 mila dinari), ma chiedono anche una riorganizzazione dell'attività lavorativa, il pagamento dei premi di produzione e il rimborso delle spese per i mezzi di trasporto.

La mobilitazione dei lavoratori serbi, la più importante nella storia recente del gruppo ex Fiat, ha ricevuto subito l'appoggio delle reti sindacali internazionali, con il sostegno ufficiale alle ragioni alla base dello sciopero da parte dei segretariati di IndustriAll Europe e di IndustriAll Global Union e della Rete Sindacale Globale di Fca e Cnh Industrial, coordinata dal sindacato americano dell’auto Uaw, oltre alla solidarietà di diversi sindacati che organizzano i lavoratori nella stessa impresa multinazionale.

Tra questi ci sono anche i sindacati italiani dei metalmeccanici, Fim Cisl e Fiom Cgil. Quest'ultima in particolare con una nota del responsabile del settore automotive Michele De Palma ha sottolineato che "la mancanza dell'apertura di un reale confronto con la direzione aziendale sui problemi vissuti dai lavoratori, come le condizioni di lavoro e il salario, deve essere superata per assicurare un confronto democratico tra le parti". 

La Fiom sostiene dunque la richiesta avanzata dai lavoratori serbi di giungere rapidamente ad un tavolo negoziale. Ma il tavolo per ora non arriva. Nonostante l'intervento del governo serbo, infatti, sembrerebbe che i vertici di Fca non abbiano intenzione di avviare un negoziato sino a quando le attività di produzione dello stabilimento non riprenderanno. I lavoratori però, a larga maggioranza - secondo quanto riporta serbianmonitor.com - hanno respinto l'ipotesi di sospendere lo sciopero. 

Una decisione che preoccupa il governo di Belgrado: secondo il vicepremier e ministro degli esteri Ivica Dacic, infatti, potrebbero esserci conseguenze pesanti sugli investimenti esteri nel Paese. "Non voglio difendere o condannare nessuno - ha detto Dacic - anzi, ideologicamente appartengo a un partito che è dalla parte dei lavoratori (il Partito socialista serbo, di cui è leader, e che fa parte della coalizione di governo, ndr). Ma in una situazione in cui alla Serbia servono investimenti, le conseguenze di tali scioperi, se durano a lungo, possono essere dannose".

Diversa la lettura che dà il sindacato Samostalni (Autonomous Metalworkers Union), il primo sindacato in fabbrica: "A parte i lavoratori e i loro sindacati - si legge in un comunicato - nessuno ha fatto uno sforzo reale per trovare una soluzione al conflitto". Al contrario,  "sembra che il management di Fiat sia inchiodato al principio di non negoziare durante uno sciopero, mentre il governo non ha la forza di convincere l'azienda a farlo". 

"Sembra che la Serbia si stia svegliando dal sogno neoliberista e dall'idea di un'armonia naturale tra le parti sociali - si legge ancora nel comunicato di Samostalni - Combattendo per la democrazia negli anni novanta abbiamo avuto il capitalismo e ora siamo costretti a confrontarci con i suoi aspetti più barbari e inumani. L'unico modo per cambiare è tenere duro e restare uniti. Il forte sostegno ricevuto da tutte le fabbriche Fiat in Europa e nel mondo - conclude il sindacato serbo - ha dato ai lavoratori serbi maggiore convinzione di proseguire la loro azione per vincere". (Fab.Ri)