Si rinnova come ogni anno, il 4 settembre, la campagna internazionale per i diritti dei lavoratori dei fast food di tutto il mondo. L'iniziativa è promossa dalla Iuf – l'associazione internazionale dei sindacati dei settori ristorazione, alberghi, catering e agricoltura – per accendere i riflettori su questioni come il diritto di aderire o di formare un sindacato, il mancato pagamento di salari bassi e inadeguati, contratti applicati unilateralmente senza orari minimi garantiti e occupazione precaria.

Qualche risultato negli ultimi tempi è stato raggiunto. Nel Regno Unito, una lunga campagna del sindacato Bfawu contro i “contratti a zero ore” ha portato McDonald’s a stipulare contratti fissi con un numero minimo di ore garantite; in Germania, il sindacato Ngg è in conflitto con i datori di lavoro sulla giusta remunerazione e sul salario per i lavoratori dei fast food; in Indonesia, Fspm è impegnato a far rispettare i diritti fondamentali per gli addetti della catena dei fast food locale di Champ Resto; in Nuova Zelanda, Unite Union ha strappato un accordo con McDonald’s che prevede aumenti salariali rispetto al salario minimo orario.

Oggi (4 settembre) la nuova protesta con presidi e volantinaggi all’esterno dei ristoranti fast food di moltissime catene nazionali e multinazionali. Negli Stati uniti è stato proclamato lo sciopero nazionale per #FightFor15 (obiettivo 15 dollari l’ora di salario minimo garantito) con azioni in tutte le principali città. In Italia è la Filcams Cgil (affiliata alla Iuf) a organizzare momenti di protesta. “La situazione complessiva nel nostro paese – sottolinea la sigla di categoria – non è certo più rosea: il contratto collettivo nazionale è scaduto da più di 4 anni e Fipe Confcommercio, fino a oggi, ha sempre vincolato l’eventuale raggiungimento di un accordo a un netto taglio del costo del lavoro peggiorando le condizioni normative e salariali per quasi un milione di addetti che operano nel settore della ristorazione”.