C’è una domanda che torna, puntuale, ogni volta che questo governo interviene sulla politica economica. Una domanda semplice, diretta: ma perché ce l’avete così tanto coi lavoratori? Perché ogni scelta sembra orientata a ridurre tutele, comprimere diritti, spostare l’asse sempre dalla stessa parte.

L’emendamento Pogliese rappresenta una linea chiara. Riapparso all’ultimo momento nella manovra, dopo essere stato messo da parte nei mesi scorsi, racconta il modo in cui l’esecutivo Meloni guarda all’occupazione di questo Paese. Un fattore da rendere docile, da rendere meno esigente, da contenere dentro regole favorevoli a chi paga.

Qui non si parla di bonus o incentivi. Si parla di salari già guadagnati. Di arretrati riconosciuti da un giudice. Di lavoratrici e lavoratori che hanno accettato paghe basse perché non avevano alternative e che ora vedono svanire anche la possibilità di recuperare il maltolto. Cinque anni cancellati. Come se il tempo del lavoro non valesse nulla.

La norma colpisce in modo chirurgico chi è più esposto al lavoro povero. Appalti, subappalti, contratti pirata, dumping salariale. Tutto quello che in Italia è diventato sistema. E mentre si promette di combattere il sottosalario, si disinnescano gli strumenti che permettono di contrastarlo davvero. Una mano finge di curare, l’altra toglie le bende.

C’è poi il metodo. Inserire una misura del genere nella legge di bilancio, senza confronto, senza discussione pubblica, forzando tempi e procedure. È un segnale politico preciso. Il lavoro non merita dibattito. I diritti possono aspettare. Le imprese no.

Questa non è modernizzazione. È regressione sociale confezionata in linguaggio tecnico. È l’idea che l’economia funzioni meglio se chi lavora ha meno voce e meno diritti. Ma la storia insegna il contrario. Quando si colpisce il lavoro, si indebolisce la democrazia.

Per questo lo stralcio non è una bandiera ideologica. È una necessità civile. Perché un Paese che decide di fare cassa sui salari non sta governando. Sta scegliendo da che parte stare. E ancora una volta, purtroppo, non è la parte di chi lavora.