Dopo lo sciopero e il corteo dei ventimila di ieri, 28 luglio, a Gela, oggi è il giorno dello sciopero generale dei lavoratori di tutte le aziende del Gruppo Eni (impianti di raffinazione, produzione e perforazione, impianti chimici e petrolchimici, sedi direzionali, depositi, uffici commerciali e amministrativi, aziende territoriali), oltre allo sciopero di due ore di tutti gli impianti di raffinazione presenti sul territorio nazionale.

Sempre oggi, si tiene anche una manifestazione/presidio a Roma (alle 15), davanti a Montecitorio. Previsti nella tarda mattinata una serie di incontri con i gruppi parlamentari del Partito Democratico, Sel, Lega Nord.

Oltre 30.000 i lavoratori interessati dall'astensione dal lavoro che - assicurano i sindacati - sarà rigorosamente effettuata secondo le norme previste dalla legge n.83/2000 e dagli accordi contrattuali intercorsi a tutela della sicurezza delle persone, della loro integrità, dell'ambiente circostante e delle emergenze.

Il 'pomo della discordia',
avvertono, è la profonda crisi in atto nel sistema della raffinazione italiana, culminata con la chiusura di tre raffinerie - oltre alla drammatica situazione di Gela (è in corso oggi lo sciopero generale e una grande manifestazione in città) - dalle posizioni recentemente rese note da Eni su blocco di investimenti, dalle scelte preoccupanti di ridimensionamento degli assetti industriali, occupazionali e della politica energetica del Gruppo nel nostro paese.
Insomma, “l'annuncio shock dell'Eni - dicono senza mezzi termini i segretari generali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil, Emilio Miceli, Sergio Gigli, Paolo Pirani - di mettere in discussione l'intero impianto strategico della chimica e della raffinazione in Italia comporta pesanti ricadute sull'intero sistema industriale e occupazionale nel nostro paese, facendo terra bruciata sull'industria italiana. Questo il governo lo deve sapere, in primis il presidente del Consiglio”.

“Colpi di spugna - insistono i tre leader sindacali - su accordi e investimenti Eni già sottoscritti (Marghera, Gela, ecc.) sono inammissibili. Al governo abbiamo chiesto l'immediata convocazione di un tavolo negoziale (riunione che si terrà mercoledì 30 luglio al ministero dello Sviluppo Economico): se, come sostengono al ministero dello Sviluppo Economico, la politica industriale richiede anche di rivalutare l'intervento pubblico nell'economia, allora il governo chiarisca se l'Eni risponde solo al mercato e alla Borsa o deve dar conto delle decisioni anche all'azionista di riferimento”.

“Se è vero, come è vero, che l'Italia ha bisogno degli investimenti e della presenza industriale di Eni, non possiamo assistere inerti - concludono i tre segretari generali - a un grande gruppo che rischia di uscire dall'industria. Ci batteremo con tutte le nostre forze affinché ciò non avvenga: è per questo che abbiamo l'obbligo di tenere uniti tutti i lavoratori del Gruppo”.