Pubblichiamo un estratto di PROCESSO AGLI ECONOMISTI di Roberto Petrini, Chiarelettere editore, Milano 2009. Il saggio è stato presentato recentemente al Festival dell’Economia di Trento.


Economista, sei di destra o di sinistra? La domanda corre il rischio di rimanere senza risposta, perché la maggior parte degli economisti è convinta di essere al servizio di una scienza esatta. Che senso avrebbe chiedere ad un fisico o a un geologo se è un fisico di destra o un geologo di sinistra? Ma l’economia è una scienza sociale, spesso viziata da pregiudizi ideologici, che si propone di fornire ricette ai politici. Così gli economisti amano dividersi tra varie scuole, ciascuna delle quali vanta la pretesa di essere nel giusto. Nel lontano 1980 un servizio de “L’espresso” descriveva divertito il moltiplicarsi delle scuole economiche in Italia. Venivano elencati keynesiani, neoclassici, monetaristi, marxisti, sraffiani, schumpeteriani, eclettici della scuola di Ancona, aziendalisti, industrialisti, finanziari. Un po’ come accadeva con i partiti della prima Repubblica (dove una molteplicità di simboli rendeva difficile la scelta), tra gli economisti regna la Babele dei linguaggi.

Chi capisce le sfumature fuori dall’accademia? Quali sono gli economisti conservatori e quali i liberal? Quali propongono ricette di destra e quali di sinistra? Chi si definisce apertamente neoliberista e chi keynesiano? Il fenomeno riguarda tutta la professione, ma in Italia è assai più marcato e paradossale. A sinistra, dopo le scivolate del welfare state e vista la consistenza del debito pubblico, sono pochi coloro che osano definirsi apertamente keynesiani e molti pensano che il “liberismo sia di sinistra”. Al contrario, a destra, invece di sposare le ricette neoliberiste ci si propugna statalisti, si emarginano i veri amici di Milton Friedman e non si parla più di tagliare le tasse. È un paese normale? Una lezione di chiarezza ci viene dagli Stati Uniti. Il nuovo presidente democratico Barack Obama ha varato un mastodontico piano statale di rilancio dell’economia e ha più volte sottolineato che su questa linea d’intervento c’è ormai un consenso unanime nel paese.

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La sortita della Casa Bianca ha suscitato immediatamente l’indignazione di duecento economisti americani, organizzati dal centro studi di destra Cato Institute, che hanno comprato una pagina sul “New York Times” per prendere le distanze dalle dichiarazioni del presidente. Con poche e semplici parole rimarcano la differenza tra destra e sinistra, tra neoliberisti e keynesiani: “Signor presidente, con tutto il rispetto, non è vero. Nonostante si dica che tutti gli economisti sono ora keynesiani e che tutti siano a favore di un grosso incremento del peso del governo, i sottoscritti non credono che una maggiore spesa statale sia la strada per migliorare le prestazioni dell’economia”. Gli economisti aggiungono che non è vero che la spesa pubblica ha salvato gli Stati Uniti negli anni Trenta e affermano che essa non è riuscita a fare alcunché neanche nel Giappone degli anni Novanta. Poi forniscono la loro onesta ricetta conservatrice: “Per spingere l’economia i governanti dovrebbero concentrarsi su riforme che rimuovano gli ostacoli al lavoro, al risparmio, agli investimenti e alla produzione. Tasse più basse e una riduzione del peso dello Stato sono il modo migliore per usare la politica di bilancio a favore della crescita”. Chiaro e semplice. Da una parte i keynesiani, dall’altra i liberisti.

* Giornalista de "la Repubblica", si occupa principalmente di temi legati all'economia