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Dodici milioni sono i lavoratori dipendenti considerati “essenziali” nel decreto governativo dello scorso 22 marzo, all’allegato 1 del Dpcm. È il dato che anticipa uno studio elaborato dalla Fondazione Di Vittorio e che verrà pubblicato nei prossimi giorni. “Sulla base dei codici Ateco – sottolineano i ricercatori – prendendo in esame senza alcuna eccezione tutte le figure professionali, il numero di occupati nei suddetti settori (dipendenti e indipendenti) è di circa 15,5 milioni, circa i due terzi del totale di 23 milioni 286 mila occupati italiani”. Una stima preliminare dei soli lavoratori dipendenti conduce a circa 12 milioni di occupati, il 66% del totale di tutti i dipendenti (17 milioni 956 mila).
“In questi numeri – evidenzia la Fondazione della Cgil – sono ricompresi tutte le lavoratrici e i lavoratori che, pur appartenenti al perimetro delle attività essenziali, svolgono la loro prestazione presso aziende che sono già o sono in fase di richiesta di ammortizzatori sociali. Inoltre una quota imprecisata, ma molto minoritaria, di questi lavoratori può svolgere la propria attività in smart working e quindi non deve recarsi presso il luogo di lavoro”.
Numeri a parte, il decreto continua a dividere il mondo del lavoro. Confindustria spinge per tenere aperte le fabbriche, paventando un calo del profitto, i sindacati rispondono che la salute resta l’unica priorità in questo momento e domani, 24 marzo, lo ribadiranno al governo. Appuntamento alle ore 11 in videoconferenza con i ministri dello Sviluppo economico e dell'Economia, Stefano Patuanelli e Roberto Gualtieri. I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo confermeranno all’esecutivo che molte delle attività industriali e commerciali non sospese non sono indispensabili o essenziali e, per questo, chiederanno di rivedere l'elenco.
Nel frattempo lunedì in molte fabbriche si è scioperato. Gli operai di Leonardo, Ge Avio, Fata Logistic System, Lgs, Vitrociset, Mbda, Dema, Cam e Dar, solo per citarne alcune, hanno incrociato le braccia su più turni e molti colleghi li seguiranno nei prossimi giorni. Mercoledì prossimo, 25 marzo, è previsto uno stop delle tute blu lombarde. Lo sciopero è stato proclamato da Fim, Fiom e Uilm e le ragioni sono quelle sottolineate dai sindacati confederali. “Il decreto del governo ha definito i settori indispensabili che possono continuare le attività nei prossimi giorni. Riteniamo che l’elenco sia stato allargato eccessivamente, ricomprendendovi settori di dubbia importanza ed essenzialità. Contemporaneamente, il decreto assegna alle imprese una inaccettabile discrezionalità per continuare le loro attività con una semplice dichiarazione alle Prefetture”, così in una nota unitaria le tre sigle metalmeccaniche.
Allo stop non parteciperanno, ovviamente, i lavoratori impegnati in produzioni strettamente collegate all’attività ospedaliera e sanitaria, alle produzioni di macchinari-attrezzature-manutenzioni per le strutture ospedaliere e alle disposizioni di legge. Le tute blu, fanno sapere, sono impegnate a tutti i livelli “a mettere in campo iniziative unitarie di mobilitazione utili a costruire accordi e, laddove non possibile, a proclamare iniziative di sciopero finalizzate a riportare la definizione delle attività indispensabili e a garantire la massima sicurezza nei luoghi di lavoro aperti a partire dal 25 marzo”.