L’influenza che la disuguaglianza nei redditi può avere sulla crescita economica è uno dei temi più dibattuti e più “ideologici”. Un capitolo del recente rapporto dell’Ocse sulle disuguaglianze permette non soltanto di fare il punto sullo stato della letteratura (teorica ed empirica) sull’argomento, ma anche, e soprattutto, di conoscere i risultati di una stima condotta dallo stesso Ocse con dati e metodologie attendibili. Secondo tali risultati, contrariamente a quanto si sente spesso affermare anche nel nostro paese, la disuguaglianza riduce la crescita. Conclusioni simili si trovano in un lavoro dello scorso anno pubblicato dal Fondo monetario internazionale.

Lo stato dell’arte. Nella letteratura teorica sono presenti argomenti a sostegno sia della tesi che la disuguaglianza favorisca la crescita, sia che la ostacoli. Tra i secondi vi è quello della politica fiscale endogena, secondo cui una più elevata disuguaglianza, minando la fiducia nelle prospettive di crescita dell’economia e nelle istituzioni, riduce gli incentivi a investire e in casi estremi può generare instabilità politica e tensioni sociali con gravi effetti sulla crescita.

Nella stessa direzione va l’argomento secondo cui l’accumulazione del capitale umano, a causa delle imperfezioni del mercato finanziario, dipende dalla ricchezza e dal reddito individuali, cosicché in presenza di elevate disuguaglianze molti non potrebbero effettuare investimenti redditizi e ciò avrebbe effetti negativi anche nel breve periodo sulla domanda aggregata e l’output. Infine, la disuguaglianza può essere negativa per la crescita, perché l’adozione di tecnologie avanzate richiede un livello minimo di domanda domestica che può non essere raggiunto se la povertà è diffusa.

La disuguaglianza è, invece, considerata positiva per la crescita in base all’argomento che l’elevata disuguaglianza può generare incentivi a lavorare e a investire di più. In particolare, se i più istruiti sono anche i più produttivi, allora forti differenze nei tassi di rendimento del capitale umano possono incoraggiare un maggior numero di persone a istruirsi. Secondo un altro argomento, poiché la propensione al risparmio dei ricchi è più elevata, al crescere della disuguaglianza crescerà l’accumulazione di capitale – e quindi la crescita –, in virtù dell’ipotesi, notoriamente controversa, secondo cui il risparmio determina l’investimento.

Dagli studi empirici disponibili non emerge un consenso generale sul segno e l’intensità di questi effetti. Anzitutto, mancano dati di reddito cross-country che siano affidabili e tra loro comparabili. Gli studi di tipo cross-sezionale generalmente evidenziano una relazione negativa, mentre gli studi longitudinali mettono in luce una relazione positiva anche se spesso non statisticamente significativa. In generale, i risultati dipendono dai dati e dai paesi presi a riferimento e la relazione negativa tende perlopiù a emergere nei paesi in via di sviluppo. Non solo: questi studi utilizzano un indicatore sintetico della disuguaglianza (comunemente l’indice di Gini) e non sono perciò in grado di analizzare gli effetti sulla crescita della disuguaglianza in punti diversi della distribuzione, in particolare nella parte alta e in quella bassa.

L’analisi dell’Ocse. Tenendo conto di questi problemi, il rapporto Ocse analizza gli effetti della disuguaglianza sulla crescita sulla base di un campione di economie avanzate, tra loro relativamente simili al fine di evitare che la relazione identificata possa dipendere dal livello di sviluppo di un paese. I dati utilizzati sono di tipo longitudinale, si riferiscono al periodo 1970-2010 e coprono 31 paesi (tutti di area Ocse). Il risultato è che la disuguaglianza ha un impatto negativo sulla crescita e questa evidenza è robusta a tutte le specificazioni econometriche utilizzate.

La mobilità sociale. Nel rapporto dell’Ocse, anche allo scopo di spiegare questi risultati, viene esaminato il legame tra disuguaglianza, mobilità sociale e capitale umano. In particolare, utilizzando i dati individuali Piaac (Programme for the international assessment of adult competencies), si cerca di stimare il legame tra livelli di istruzione raggiunto dagli individui, disuguaglianza e mobilità sociale. È ben noto che l’istruzione dei figli è correlata a quella dei genitori; nel rapporto si cerca di fare un passo avanti e di stabilire come vari la possibilità dei figli di raggiungere un livello più elevato di istruzione di quello dei genitori all’aumentare della disuguaglianza.

Questi risultati appaiono coerenti con la teoria del capitale umano, secondo cui la disuguaglianza riduce gli investimenti in capitale umano (e le opportunità occupazionali) degli individui provenienti da famiglie svantaggiate economicamente, con conseguenze negative per la crescita. Per rendere più robusto questo risultato, nel rapporto si tiene conto anche dell’istruzione dei genitori (comeproxy del background socio economico) e si depura per le caratteristiche non osservabili specifiche di ciascun paese e per gli effetti del ciclo economico.

Per ogni individuo vengono considerate tre misure di capitale umano: 1) la probabilità di ottenere un’istruzione secondaria superiore e una laurea o il numero di anni di istruzione completata; 2) due indicatori di skill proficiency (numeracy e literacy scores), che catturano abilità cognitive e, quindi, tengono anche conto della qualità dell’istruzione completata; 3) un indicatore della probabilità di non essere occupato, al fine di esplorare l’impatto della disuguaglianza sulle opportunità offerte dal mercato del lavoro.

Tutte queste misure di capitale umano vengono stimate in relazione all’istruzione dei genitori (distinta in bassa, media e alta), all’indice di Gini e alla sua interazione con il livello di istruzione dei genitori e, infine, controllando per effetti fissi di paese e anno per depurare da caratteristiche non osservabili specifiche di ciascun paese che non variano nel tempo e da effetti di ciclo. Emerge così che un aumento della disuguaglianza ha effetti negativi sul capitale umano solamente per coloro che provengono dalle famiglie con il più basso livello di istruzione.

Il capitale umano, invece, tende a rimanere pressoché invariato all’aumentare della disuguaglianza per coloro che provengono da un background familiare più elevato. Questa evidenza empirica sembra rafforzare la tesi delle mancate opportunità sostenuta dalla teoria del capitale umano, piuttosto che quella della disuguaglianza come incentivo. In particolare, in contrasto con quest’ultima, risulta che sia la probabilità di ottenere un grado di istruzione secondaria superiore e una laurea, sia le performance degli studenti (misurate dai punteggi ottenuti in calcolo e letteratura), sia le loro opportunità lavorative, tendono a diminuire tra i segmenti più poveri della popolazione all’aumentare della disuguaglianza.

Dunque, secondo l’Ocse, ridurre le disuguaglianze migliora le opportunità di istruzione, favorisce la mobilità sociale ed è benefico per la crescita economica. È quindi auspicabile che risultati come questi entrino nel dibattito sulle politiche economiche e sul ruolo che dovrebbe avere al loro interno il contrasto delle disuguaglianze.

Ricercatrice presso l’Università di Bath e alla “Sapienza” di Roma