Lavoro dignitoso, protezione sociale e diritti dei migranti. Temi cruciali e certo non risolvibili con un seminario, ma parlarne come sempre aiuta. Attiva le coscienze e mette in moto soluzioni. Ed è uno dei meriti della quattro giorni di Firenze 10+10. Perché se su questo l'Europa è silente, dal capoluogo toscano si alza un grido di speranza. Un appuntamento nato per rileggere ciò che è accaduto nel 2002 durante l'European Social Forum, ma senza amarcord, senza guardarsi troppo alle spalle, bensì puntando dritto ai prossimi 10 anni che sono davanti.

Con l'obiettivo che nonostante tutto un’altra Europa sia ancora possibile. Quella dei diritti e non del profitto. Sta qui il senso vero dell’iniziativa che fino a domenica porterà in riva all’Arno oltre 3000 tra associazioni, sindacati, ong, reti e semplici cittadini, provando a dare delle risposte alla crisi globale in atto e, soprattutto, costruire un percorso comune. In due parole: fare rete. Creare cioè una strategia capace di mettere in piedi una vera comunità sociale e dei cittadini. 

Un progetto nato proprio dieci anni fa, ma che ora ha bisogno di un'accelerazione finale. E per condividere questo cammino unitario, non si può non partire che dal lavoro. Un tema che accomuna tutta l'Europa, alle prese con lo spread sociale, quello dell'aumento della disoccupazione e la diminuzione dei diritti. “Siamo di fronte ad un attacco alla democrazia”. Una frase che riecheggia in tutte le lingue del vecchio continente, trapassa i confini e approda fino alle coste del nord africa. Italia, Spagna Portogallo, Grecia, Belgio, Tunisia, Algeria, Marocco, Palestina. Latitudini diverse, problema comune: il lavoro appunto.

La primavera araba ha spodestato dittatori e animato le coscienze, ma ora in quei Paesi c'é bisogno di ricostruire una rete sociale che possa garantire un futuro dignitoso. Lo dice senza girarci tanto intorno Alaa Talbi, vice presidente del Tunisian centre for social and economics rights, mettendo avanti la questione dell'occupazione che non c'è. “I lavoratori premono con forza dopo la caduta della dittatura. Ma non c'é ottimismo. I diritti umani e la giustizia sociale sono ancora lontane ma stiamo lavorando affinché questo si possa affermare anche nel nostro Paese. Il percorso è lungo e in salita, ma non è impossibile”.

In Spagna non se la passano certo meglio. Alejandra Ortega, presidente piattaforma Encuentro Civil Euromed, sciorina numeri e percentuali che certificano lo “stato comatoso iberico”, e come il “miracolo Zapatero” sia già storia. “Il presente – dice Ortega – è pieno di contraddizioni e il futuro è incerto. La povertà avanza, e i giovani voglio uscire dal Paese in cerca di fortuna. Sembra siamo ritornati a vent'anni fa”. Ortega punta il dito sulle politiche di austerità del governo Rajoy che “ha bloccato la crescita e messo in mezzo alla strada tante famiglie che prima vivevano in modo modesto ma tranquillo e dignitoso”.

A soffrire maledettamente è anche Israele, una nazione che fino ad ora non aveva mai fatto i conti con una crisi così profonda. Secondo Roni Ben Efrat, del Wac israeliano, “è in atto la disintegrazione dell'intera classe dei lavoratori. I giovani soffrono maledettamente questa chiusura del mercato del lavoro. Ogni mese aumentano i nuovi poveri e le donne disoccupate. Quest'ultimo è un fenomeno nuovo per Israele che ha sempre garantito alle donne una buona emancipazione”.

Peggio se la passa la Palestina. Hasan Barghouthi, di Democracy workers rights centre di Ramallah, lancia l'allarme: “Solo il 15% delle donne ha un lavoro. Due famiglie su tre vivono sotto la soglia di povertà. Scuola e sanità sono i comparti dove i lavoratori sono più in difficoltà. Nessuna tutela sul lavoro, il licenziamento è libero e senza appello. Impossibile il reintegro. Il lavoro minorile continua ad essere una delle piaghe maggiori per il Paese”. E i sindacati? “Continuano ad non essere del tutto liberi – dice Barghouthi - e chiedono maggiore libertà e non sottostare ai vari partiti politici che li nominano”.

“La palla passa ora all'Europa”, dice Conny Reuter, segretario generale Solidar, un gruppo di organizzazioni non governative europee che si occupa di cooperazione allo sviluppo, aiuto umanitario e politiche sociali. “Se la Ue non cambia politica rischiamo grosso. In pericolo non c'è solo il default finanziario, c'è soprattutto quello sociale”. Firenze l'ha capito. E Bruxelles?